
In casa, su un tavolino del soggiorno, tiene la foto di quando tutto era perfetto, l’immagine di quando tutti erano ancora sorridenti e inconsapevoli di ciò che sarebbe accaduto. La sta guardando anche ora quella foto, mentre si alza dalla poltrona ed esce sul terrazzino, con una bottiglia di birra in mano. La mezzanotte è passata da poco e il suo sguardo si perde tra gli ombrelloni chiusi e i lettini da mare vuoti illuminati dai fari degli stabilimenti balneari. Da quando lo hanno sospeso dal corpo di polizia, Valerio si è adattato ai ritmi di una routine stanca e piatta: i turni alla pompa di benzina - preferibilmente di notte - le passeggiate lungo la battigia e le lunghe ore dentro casa, al settimo piano di un grattacielo, ad attendere inerme il trascorrere del tempo. Gli antidepressivi lo hanno aiutato molto in questo senso e, anche se ha deciso di non tornare più dallo psichiatra che glieli ha prescritti, ha tuttavia continuato a prenderli. Forse il lavoro da benzinaio lo ha fortemente desiderato perché implica l’utilizzo di una divisa, così come il suo precedente incarico da poliziotto. In quel caso l’uniforme era scura, ora invece la tuta da benzinaio è grigia e rossa. Beve l’ultima sorsata di birra e rientra; di nuovo lo sguardo si posa sulla foto scattata durante la festa dell’ultimo dell’anno 2003, a casa sua e di Francesca. Sono ritratti loro due insieme a Ettore, il loro bambino di sette anni, e al resto del branco al completo: il papà di Valerio e suo fratello, i colleghi con i figli e le mogli, quasi tutte poliziotte. Sono immortalati mentre si abbracciano, sorridenti. Il sonno arriva, grazie agli antidepressivi, mentre la mente scava tra quei ricordi gioiosi. Poi, alle sei e venti, la telefonata lo coglie sulla solita poltrona, dove si è addormentato con la testa piegata: una voce reale che ripete una notizia assurda, ancora e ancora…
Valerio ed Ettore. Un padre e un figlio. Un poliziotto e uno studente. Una sincronia perfetta prima, durata anni – anni in cui agli occhi del figlio il padre è il più forte, l’invincibile, l’eroe - e una rottura insanabile poi: ideali diversi per cui lottare, ostilità, orgoglio e incomunicabilità. Un padre disilluso, che porta sulle spalle tutto il peso del fallimento professionale e personale, che ha confinato se stesso e la sua vita nella provincia più anonima e scialba; un figlio idealista e ribelle, profondamente fedele alle sue idee e ai suoi progetti di vita. Due realtà destinate, forse, a non incrociarsi più. Ma le acque del Tevere restituiscono al padre il cadavere del figlio che, dicono, si è tolto la vita. Valerio non ci sta e - l’intuito del poliziotto non si doma mai - diventa sordo al proprio dolore e comincia a indagare su quel giovane diventato ormai un estraneo, su una morte che si trasforma con urgenza in un’ossessione e in una ricerca ostinata della verità, a costo di lacerarsi l’anima nello scoprire le bugie, travestite da certezze, nascoste sotto una finta normalità. Ed è proprio nell’ostinazione della ricerca che Valerio impara a conoscere davvero il figlio e, insieme a lui, se stesso. Il romanzo di Massimo Bavastro - che nasce dall’omonima serie televisiva targata RAI Uno e interpretata tra gli altri da Alessandro Gassmann, Maya Sansa e Luigi Fedele - racconta con estrema tenerezza la paternità, il distacco, l’allontanamento, l’incomunicabilità e poi, infine, il ritrovarsi. La vicenda scritta non si riduce alla funzione di semplice messa in prosa della sceneggiatura, ma offre un’accurata disamina degli aspetti più profondi dei personaggi che, per ovvie ragioni, nella serie televisiva appaiono meno dettagliati. La storia di Valerio ed Ettore è una sorta di romanzo di formazione al contrario, in cui il padre riesce a conoscere e ad ammirare davvero il figlio solo dopo averlo perso ma fa, allo stesso tempo, attraverso un percorso straziante ma necessario, uno straordinario passo avanti nella piena consapevolezza del suo io più profondo.