
Una comunità con una storia millenaria di rifiuto, di allontanamento, la cui dispersione dalle zone della Palestina inizia sotto la dominazione romana, dopo il fallimento della rivolta giudaica. Soprattutto col diffondersi del Cristianesimo viene considerata responsabile dell’uccisione del Messia, quindi malvista e discriminata, relegata nei ghetti, zone cittadine apposite, fornite di cancelli che venivano chiusi la sera e riaperti al mattino. Quando la Chiesa perde vistosamente il suo potere temporale si fa largo anche una giustificazione antropologica, “gli ebrei sono malvagi”, e quella più politica, “forte potere economico, si schierano con le classi proletarie”; inoltre, nella Russia zarista, vengono incolpati dell’assassinio di Alessandro II (1881) che origina il primo grande esodo “che porta in Occidente quasi tre milioni di ebrei” che sfuggono dall’incertezza del proprio destino. Quando in Europa e negli Stati Uniti iniziano a circolare le idee liberali “sulla centralità dell’individuo che si identificava in un consesso sociale, con la comune appartenenza solidale”, nelle comunità ebraiche sparse in diverse nazioni si fa largo, prima timidamente poi in modo più convinto, l’idea di una nazione in cui gli ebrei si possano finalmente autodeterminare: la Terra di Sion. Ciò che inizia timidamente è una forma “romantica” di sionismo, una forma sostanzialmente religiosa di riunione in una nazione ebraica su un territorio non necessariamente palestinese, cui fa seguito il sionismo politico che trova la sua consacrazione nel primo Congresso sionista mondiale tenutosi a Basilea tra il 29 e il 31 agosto 1897dove emerge la figura di Theodor Herzl. “Il modello dello Stato nazionale” sionista “si doveva sostituire all’idea fino ad allora prevalente di un ritorno a Sion legato a una propensione unicamente spirituale o religiosa: l’ebraismo doveva costituirsi come vero e proprio corpo politico: occorreva il definitivo incontro dell’azione politica di mobilitazione con la maturazione dell’autocoscienza ebraica”; e non in un territorio anonimo ma ritornando là dove “il dettato teologico ebraico fonda il rapporto tra popolo d’Israele” (discendente direttamente da Israele, il nome nuovo che Dio attribuisce a Giacobbe dopo la lotta vinta contro l’angelo) “e Dio nella mediazione svolta dalla terra”; “un elemento fondamentale per la legittimazione dello Stato d’Israele è da sempre costituito dagli scavi archeologici” atti a comprovare che proprio in quel territorio, la Palestina, giace la provenienza del popolo ebraico. Il percorso del ritorno “a casa” è lungo ma lo Stato Israele nasce col riconoscimento dell’ONU nel 1947 e sancito dalla Dichiarazione d’Indipendenza del 1948. Ma chi sono i cittadini di questo Stato? Professare lo stesso culto è sufficiente per essere cittadini d’Israele? Sì, secondo la Dichiarazione d’Indipendenza che garantisce “porte spalancate a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro con pari diritti nella famiglia delle nazioni”. La creazione di Israele non è certamente la fine della “questione ebraica” ma solo l’inizio di una storia molto complessa...
Dieci capitoli, ognuno dei quali tratta uno specifico argomento che concerne la storia di un popolo prima e di una nazione poi. Claudio Vercelli, storico contemporaneista, docente alla Cattolica di Milano e ricercatore all’Istituto di studi storici Salvemini di Torino, offre un saggio molto completo, capillare, di non sempre facile lettura, di una storia alquanto complicata. Il testo è estremamente esaustivo, disegna una linea storico/temporale che parte dagli albori della Diaspora e giunge fino ai giorni nostri, mettendo in evidenza situazioni, concetti e contraddizioni che ai più risultano sconosciuti o misconosciuti. Così scopriamo che prima del movimento sionista di Herzl è esistito un sionismo meno politico e più nostalgico, che esiste una sostanziale differenza tra popolo d’Israele e popolo israeliano, il primo riferito agli ebrei che si sono uniti nello Stato d’Israele mentre il secondo identifica “una comunità religiosa, estranea ai vincoli di ordine geografico e temporale, che si riconosce nella dispersione, sia pure richiamandosi a un territorio d’origine”; si viene a conoscenza che Israele è uno Stato che non ha una Costituzione scritta ma una serie di Leggi fondamentali. Ciò che manca, per scelta dell’autore, è la questione palestinese, a cui peraltro Vercelli ha dedicato il volume Storia del conflitto israelo-palestinese, uscito sempre per Laterza; non si parla dello sterminio nazista. Una narrazione super partes (di un argomento che invece oppone quasi sempre due fazioni) che aiuta senz’altro la comprensione di un pezzo di Storia particolarissimo e ancora in divenire. Alla fine, a libro chiuso, molte, anzi, forse solo una domanda resta ancora senza risposta.