
È ormai pensiero comune che in Inghilterra la magia sia scomparsa. Più precisamente la pratica della magia, così diffusa in epoca medioevale, è stata sostituita dal solo esercizio mentale e i maghi del XIX secolo si sono tramutati in studiosi, collezionisti di libri e di testi arcani. Gli inglesi concordano sul fatto che incantesimi ed esseri fatati siano cose da ciarlatani di strada, per gente di basso ceto, zingari o ladruncoli. Un gentiluomo non metterebbe certo in pratica nozioni e formule studiate su antichi tomi! La cultura innalza, senza sporcare le mani. John Segundus, uno dei maghi di York, non la pensa propriamente così. Rendere nuovamente possibili quelle vecchie imprese magiche di cui ormai si ha traccia solo nelle pagine dei libri diventa per lui una missione. E questa ricerca lo porta a scovare forse l’unico vero mago rimasto sul suolo britannico, isolato nella sua tenuta di Hurtfew Abbey nello Yorkshire. Gilbert Norrell è un soggetto alquanto schivo e scorbutico ed estremamente freddoloso, forse anche per quel cuore rimpicciolito e arido che nemmeno il focolare sempre acceso della sua magnifica biblioteca riesce a scaldare. L’incontro tra gli Accademici di York e il signor Norrell sembra fin troppo fortuito, ma l’ombra di una profezia mette ben presto in moto una giostra di eccentrici personaggi verso un destino che si preannuncia tanto grandioso quanto incerto. Ne nasce una scommessa: un piccolo esercizio di stile e York Minster viene animata a distanza da un semplice incantesimo. Pietre parlanti e statue in movimento sono sufficienti allo scaltro Norrell per dimostrare cosa ancora sia possibile ottenere con la pratica della magia. È tempo che gli impostori depongano il titolo di mago e che la vera magia faccia il suo ritorno in Inghilterra. Il signor Norrell abbandona il proprio isolamento trasferendosi a Londra dove scova un allievo particolarmente dotato ma con una concezione della magia molto diversa dalla sua. Jonathan Strange è tutto quello che il signor Norrell non è: alto, affascinante, loquace e dal sorriso ammaliante. Il mago perfetto che la città di York stava aspettando. Due maghi al servizio del regno, impegnati in una collaborazione che spesso sconfina nella rivalità. Jonathan ha fame di conoscenza e ciò sembra turbare profondamente Gilbert: far rivivere antichi incantesimi e vecchi demoni del passato è veramente la strada migliore da percorrere?
Susanna Clarke ha impiegato più di dieci anni a completare Jonathan Strange & il signor Norrell e questo già è un indice della complessità contenuta nelle oltre ottocento pagine del libro. Susanna si è rimboccata le maniche per trovare un editore che fosse interessato alla sua pubblicazione, nell’ormai lontano 2004, e questo invece evidenzia quanto non si tratti di un testo fantasy classico, ma qualcosa di particolare e rischioso da presentare al pubblico. Un azzardo rivelatosi vincente, in termini di vendite e di riconoscimenti, e in grado di far guadagnare alla Clarke diversi premi, il plauso di colleghi di tutto rispetto, come Neil Gaiman, e un adattamento in una serie TV (Jonathan Strange & Mr Norrell, BBC, 2015). Quello che l’autrice ha concepito è un fantasy storico ambientato in un passato ucronico in cui le sorti delle guerre napoleoniche vengono influenzate dai maghi schierati nell’esercito. Cavalli acquatici generati per trainare velieri in secca, città intere spostate altrove per difesa, guerrieri di sabbia e terra capaci di immobilizzare la fanteria. Personaggi della nostra storia intrecciano le loro sorti con quelle della magica Inghilterra di Norrell e Strange, dando vita a proiezioni alternative e a tratti caricaturali del duca di Wellington, di Byron, di Giorgio III. Lo stile adottato per la stesura, il design stesso scelto per il volume e le illustrazioni in bianco e nero di Portia Rosenberg richiamano l’atmosfera ottocentesca di racconti come quelli della Austen o di Dickens. Il livello di dettagli riservati alle descrizioni, alle vicissitudini sociali e politiche acquistano uno spessore molto più rilevante rispetto alla dinamicità e all’azione che ci si aspetterebbe in un fantasy. Ne otteniamo un quadro dalle pennellate dense ed emotivamente cariche, come un paesaggio di Turner condensato in parole. Un mondo fantastico con la grazia e il fine sarcasmo della famiglia Bennett, un abbinamento strano ma che convince. L’ ampio uso del discorso indiretto libero è un altro tratto accomunabile agli scritti della Austen e la scelta di termini di uso arcaico sottolinea la volontà di rendere l’ambientazione verosimile e coinvolgente. Una scelta altrettanto particolare ma consolidata ormai negli scritti di Susanna è quella delle numerose e lunghe note presenti al termine dei vari capitoli. Note che spesso sono esse stesse dei piccoli racconti nel racconto. Approfondimenti interessanti ma che possono avere la controindicazione di spezzare la narrazione e distrarre il lettore. Un libro che impegna, articolato, colmo di personaggi e dal ritmo lento e riflessivo. Una di quelle storie ad alto rischio di “odi et amo”.