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Junky

Junky

È stato un tale di nome Norton (ma il suo vero cognome era Morelli o qualcosa di simile) a fargli conoscere la droga. Sarà stato il 1944 o il 1945. Questo Norton lavorava in un cantiere navale ed era un ladro accanito. Portava sempre della merce che voleva rivendere. Un giorno si presentò con un mitra e 16 scatole ognuna contenente cinque fialette di tartrato di morfina e gli chiese di “piazzare” la merce. A quel tempo William non aveva mai provato alcuna droga e non gli passò neppure per la mente di cominciare, si mise solo alla ricerca di possibili acquirenti e li trovò in un bar frequentato da delinquenti della 42esima Strada. Qui conobbe un crto Jack, un mezzo psicopatico violento che a sua volta lo accompagnò in un appartamento di periferia abitato da “un invertito grosso, flaccido, di età media, con tatuaggi sugli avambracci e persinosul dorso delle mani”, da un uomo basso di statura, magrissimo, col viso coperto da “un trucco a base di cerone nel tentativo di nascondere un’eruzione della pelle” e infine da un tizio con gli zigomi da orientale, le orecchie che sporgono “ad angolo retto dal cranio asimmetrico” e gli occhi singolarmente luminosi. Affascinato da quel mondo, William provò la sua prima fiala di morfina…

Pubblicato nel 1953 - nell’ordine con i titoli Junk, Junkie e infine Junky (in Italia finora era noto come La scimmia sulla schiena) e firmato con lo pseudonimo di William Lee - in una bizzarra edizione “flip book” in contemporanea con le memorie dell’ex agente della Narcotici Maurice Helbrant (!!!) per evitare un’eventuale censura, questo è il primo libro di William S. Burroughs. Ma è un esordio che ha il sapore della beffa, o persino del contrappasso. Si tratta infatti di una sorta di manualetto scandalistico dai toni moralistici che in forma romanzata racconta “dal di dentro” la vita dei tossicodipendenti, con uno stile laconico e pallidamente hard-boiled. Le differenze tra le droghe, gli effetti, la dipendenza, la microcriminalità, il microcosmo degli spacciatori e delle prostitute, gli studi medici in cui rimediare la morfina, lo sbattimento. Freno a mano tirato, tono contrito e pentito, lo scrittore rimane molto sul tecnico, ci tiene a sottolineare che lui in realtà è un ragazzo di buona famiglia, che si tratta di un momento complicato ma che ne uscirà presto, bla bla bla. Il libro, sebbene sia un documento interessante, ha il sapore di una relazione rassicurante ma non troppo da propinare a degli assistenti sociali: falso come una moneta di legno. Qua e là fanno per fortuna capolino i temi e l’estetica che renderanno Burroughs un grande della letteratura negli anni successivi: fugaci visioni di millepiedi giganti che infestano la città, infelici passioni omosessuali (qui del tutto caste e anzi liquidate con un certo apparente fastidio), personaggi inquietanti, anime contorte.