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Kissless – Generazioni in gabbia

kissless

“Ci sono eccezioni, ma c’è un temperamento che accomuna X, Y e Z e che li distingue nettamente dal boomer […] e dalle altre generazioni a loro precedenti. Le differenze interne al mondo occidentale tendono […] ad appianarsi. […]. Ora tutti abbiamo per le mani gli stessi smartphone, siamo abbonati alle stesse pay tv e frequentiamo gli stessi siti porno”. Il risultato è che coloro che sono nati tra il 1965 e il 2010 combattono ogni giorno con un senso di vuoto endogeno, che non è propriamente depressione, bensì la consapevolezza di potere tutto, grazie alla tecnologia, e nello stesso tempo di non dover osare, pena la distruzione del sistema, che sia ecologico oppure economico, sociale, ecc. Fino alla cosiddetta “anoressia emotiva”, quella condizione di medietà mediocre intrisa di noia profonda, sfociante a volte nell’invidia passiva di chi guarda le vite degli altri (sempre attraverso il filtro dei social, comunque) o nella violenza fine a sé stessa, l’atto distruttivo compiuto senza altro scopo che rompere la monotonia, per sentirsi vivi…

Chi sono i kissless? Sono i giovani tra i quindici e i trent’anni, soprattutto di sesso maschile, che non hanno provato mai nemmeno un bacio con un altro essere umano. Vanno ad aggiungersi ad altri fenomeni devianti, come gli incel e gli hikikomori, che, già diffusi in Oriente e negli USA, hanno ormai fatto la loro comparsa anche qui in Italia. Legioni di ragazzi che hanno paura di quello che c’è fuori, anche e soprattutto perché nello spazio della propria cameretta la tecnologia consente di avere tutta una serie di collegamenti con il mondo, di aprire finestre e porte su realtà virtuali che spesso sono più vere del reale. Dipendenti cronici dai social media, dai profili Instagram che “refreshano” in continuazione, per spiare quanto sono fighi quelli che hanno avuto il coraggio (forse sarebbe più corretto dire che mettono in scena di averlo avuto) di combattere e farsi largo. Tutto questo produce spesso in loro il sentimento della rabbia, che ha conseguenze sociali tremende. Il drammatico affresco tracciato dal singolare e sorprendente autore di questo saggio, Brando Barbieri (neanche trent’anni, nato a Milano nel 1996, diplomato al prestigioso Liceo Parini, già modello, già pubblicitario), non si esaurisce però nella descrizione - che pure ha un suo perché, come saggio che nasce dall’esperienza diretta rielaborata con grande lucidità - ma sfocia nella proposta di una cura, che dovrà naturalmente partire dalla politica e investire ogni aspetto dell’agire globale. Lettura davvero interessante.