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La bambina del lago

La bambina del lago

Appennino emiliano, estate 1930. Aladina ha dieci anni e si trasferisce con il padre, il medico condotto Astorre Duban, a Paese Nuovo, un villaggio che sovrasta un lago sotto le cui acque si riescono a vedere la chiesa e il campanile di Paese Annegato, sommerso quando è stata costruita la diga che ha imbrigliato le acque del fiume Cigolo. Certo che Aladina è un nome piuttosto singolare, ma nessuno, tra i parenti e gli amici della piccola, si è mai meravigliato più di tanto per questa scelta alquanto singolare. Essa si deve a Gialdiffa, adorata moglie di Astorre che, appena partorito, osserva la piccola accoccolata dentro la cuscina, al caldo, e cerca di convincere un perplesso Astorre a dare alla figlia questo fantastico nome, che ricorda il mondo della fantasia. D’altra parte, se esistono i corrispondenti femminili di Mario o Carlo, perché non dovrebbe essere accettata la versione femminile di Aladino, fantastico protagonista de Le mille e una notte? La piccola cresce bene nella villa che il dottor Astorre ha ereditato dal padre, nella periferia della città. A sei anni la piccola viene iscritta alle scuole elementari nel collegio delle scuole canossiane: come tutti i piccoli studenti a volte mostra interesse per il programma che deve seguire e a volte assolutamente no. Non le piacciono molto la musica, l’uncinetto e, soprattutto, le buone maniere, quelle che dovrebbero trasformarla in un’irreprensibile madre di famiglia. Gialdiffa sorride quando le maestre lamentano lo scarso interesse della piccola per queste attività e non può fare a meno di ricordare che lei stessa, da fanciulla, adorava giocare all’aria aperta e godersi il suono delle campane, seduta sull’erba all’ombra del grande albero del fuso profumato di ravanello. Ecco, Gialdiffa vorrebbe portare la figlia nel luogo in cui lei è nata. Ma il destino è beffardo, non glielo consente, sfonda le porte chiuse e si porta via Gialdiffa, tre giorni prima del decimo compleanno di Aladina. Un compleanno terribile...

Spesso le storie sono pensate per uno specifico bacino di utenza, ma finiscono per diventare importanti anche per altri. Questo accade quando il linguaggio si fa universale e la vicenda si presta a diverse chiavi di lettura. È il caso del romanzo di Loriano e Sabina Macchiavelli, un’intrigante storia pensata per i più piccoli che si fa tuttavia veicolo di un messaggio importante e rivolto anche a un pubblico adulto, a cui si ricorda quanto possa essere labile la linea di demarcazione tra verità e sogno, tra realtà e magia e quanto sia doloroso separarsi dai luoghi che hanno testimoniato la nostra felice stagione dell’infanzia o quanto difficile possa risultare superare la perdita di un affetto importante. I Macchiavelli, attraverso un linguaggio che si fa poesia nella capacità di raccontare le piccole cose e la sensazione di gioia che da esse scaturisce, raccontano la magia, quella meravigliosa capacità di fremere ed emozionarsi di fronte a un bel panorama, di intenerirsi davanti a una manifestazione d’affetto, di apprezzare chi ancora prova buoni sentimenti, merce sempre più rara ma, per fortuna, non ancora completamente fuori mercato. Aladina e Gufo, guidati dal Professore, conducono il lettore alla scoperta della montagna e dei misteri che essa racchiude; gli svelano i segreti del lago e rivelano le superstizioni che si sono annidate sotto la polvere di secoli di Storia; gli insegnano a guardarsi intorno con occhi nuovi e a spingersi oltre le apparenze, alla ricerca di quelle profondità che tanto nutrono l’anima e le donano armonia. Una lettura consigliata a tutti: ai più piccini che possono apprezzarne il tono fiabesco e agli adulti che desiderano avventurarsi in un viaggio che ha come meta finale il centro esatto del proprio cuore.