Salta al contenuto principale

La banda Gordon

La banda Gordon

Primi anni Quaranta, monti del Gran Sasso. Piero e Nico, amici sin da bambini, sono da poco divenuti adolescenti. Il che, nel contesto dell’epoca, significa che – volenti o nolenti – essi debbono prestarsi agli allenamenti comuni ai Balilla, i giovani avanguardisti fascisti ; lo sport è, come ormai tutti gli aspetti della vita, asservito al dettame fascista e dunque non solo i ragazzi della loro età debbono praticarlo a tappe precise e forzate, ma soprattutto non hanno possibilità di scegliere altro che non siano le discipline ritenute più adatte dal Duce a fortificare i teneri virgulti, in particolare tutte quelle dell’atletica leggera. A loro, invece, ciò che interessa – a parte le pratiche onanistiche svolte spesso e volentieri uno accanto all’altro, nelle quali, peraltro, Piero a volte entra in confusione perché gli sembra di provare attrazione per l’amico - è l’alpinismo; sentono di esservi portati, e l’occasione giusta si presenta quando altri due loro amici, De Benedictis e Colaiuda, li portano con loro in una difficile escursione, nel ruolo di “negri” ( i “servitori” che pur di imparare si prestano ai compiti più umili e faticosi, un po’ come i mozzi su una nave). I due anfitrioni, in teoria più esperti, si sorprendono della bravura dei novelli scalatori, che da quel momento prendono fiducia; tanto da “bigiare” gli allenamenti Avanguardisti (ogni volta con una scusa meno 2/4 credibile e più a rischio per genitori e compagni) pur di recarsi il più spesso possibile a scalare le vette del Gran Sasso, con il sogno di riuscire a fare un percorso di “sesto grado” (il più complicato e impervio in natura). La loro già scarsa propensione per l’ideologia fascista, anche per via dei già detti motivi sportivi, viene del tutto azzerata a causa della sparizione, dalle pagine del periodico per ragazzi “L’Avventuroso”, delle strisce di Flash Gordon, sostituito da insulsi e indefiniti personaggi di mera propaganda quali I tre di Macallè. Il fumetto fantascientifico, già pluricensurato nei costumi in quanto la versione statunitense “spogliava” molto di più i personaggi femminili, viene fatto sparire del tutto, come pressoché ogni prodotto d’oltreoceano; Piero e Nico, come altri loro coetanei, sospettano che il motivo, in questo caso, sia da ricercarsi soprattutto nei contenuti di ribellione rivoluzionaria che animano quasi tutte le storie di Flash Gordon ed i suoi tentativi di liberazione del pianeta Ming dalla dittatura. A questo punto la svolta: un ex comandante dell’esercito in pensione, fiero oppositore del regime e convinto che vi sia bisogno – ora che le offensive tedesche stanno subendo forti battute d’arresto in vari punti nevralgici d’Europa – di prepararsi ad azioni belliche clandestine ripetute e diffuse su tutto il territorio nazionale, inizia ad effettuare le selezioni per comporre la banda, i cui partecipi dovranno essere preferibilmente giovani, atleticamente ultra/addestrati e insospettabili. Nel radunare questo nucleo improvvisato egli decide di scegliere tra i primi proprio i già nominati Colaiuda e De Benedictis, ai quali, a quel punto, viene spontaneo fare il nome di Piero e Nico. Abili e arruolati anche loro, intraprenderanno un percorso di crescita non solo sportivo/agonistica e nella disciplina etica e militare, ma anche nella reciproca conoscenza l’uno dell’altro, e nei rapporti con l’altro sesso, rappresentato soprattutto delle due giovanissime campionesse di tennis Marzia e Carla, le uniche due ragazze ammesse alla brigata proprio per la loro prestanza e resistenza fisica. Manco a dirlo, la banda viene battezzata Gordon in onore dell’eroe, su proposta di Nico e Piero; ogni componente, comprese le donne, prenderà un nome in codice da uno dei protagonisti del fumetto. Piuttosto presto viene il giorno in cui la brigata si vede assegnato un compito importantissimo, quello di rapire il Duce: ma più di un avversario ne è conoscenza e si pone in agguato…

Brillante e originale, complesso e al tempo stesso molto scorrevole, questo romanzo, a metà strada tra il romanzo di guerra e quello di formazione, tanto che avrebbe tutte le carte in regola anche per poter diventare un film o una fiction televisiva. La storia si rivela imprevedibile in ogni sua svolta 3/4 narrativa, e il modo di narrarla è intelligente anche nell’espediente di far raccontare la storia ad uno dei protagonisti ma da anziano, ossia quando ha acquisito un punto di vista e un distacco emotivo senz’altro molto differenti dai sentimenti e dalle sensazioni che egli viveva al momento degli eventi rievocati. Se proprio si vuole trovare un difetto al romanzo, vi sono almeno un paio di tematiche che si “perdono un po’ per strada”, ossia che vengono sviluppate, nella prima parte, in modo così dettagliato e nitido, oltre che piacevole, da far presumere ulteriori sviluppi sul tema, che invece non arrivano. Il riferimento è alla latente omosessualità, o presunta tale, di Piero, ed ai rapporti con le “nibelunghe” tedesche, figlie di un gerarca nazista, che i due protagonisti vengono incaricati di scorrazzare tra gli Appennini, con il compito nascosto di cercare di carpir loro informazioni, nel far ciò rischiando però ovviamente di innamorarsene. Ecco, risulta particolarmente intensa la vitalità di questa scena, in cui l’adolescenza che sboccia nel corpo e nei sentimenti di questi giovani finisce per prevalere su qualsiasi scoglio ideologico, nazionalista, bellico; tanto che era lecito pensare a un ruolo più importante per le tre ragazze, eventualmente anche un ruolo di insidia o di minaccia per la banda, mentre esse vengono invece relegate sullo sfondo nella seconda parte della trama. Ma forse la meraviglia dell’opera sta proprio in questo: è una successione di eventi talmente vivace, fresca e trascinante, che finisce per stimolare a tal punto il lettore da catapultarlo sin dentro la storia e così suggerirgli altre possibili pieghe degli eventi, tali da deviare la trama in universi paralleli. La montagna, la sua altezza, i suoi passaggi scoscesi e impervi, è metafora dello sforzo di superare i propri limiti, meglio ancora se con l’aiuto del gruppo, della “cordata”: da qui, appunto, il duplice piano narrativo del romanzo di formazione personale e della storia di resistenza partigiana all’odiato regime. Superare picchi che appaiono invalicabili per poter crescere e trovarsi ad affrontare ad armi pari nemici dall’apparenza invincibile, cui fino a poco prima era impensabile persino pensare di accostarsi. Lo stile è curato, sapiente, e del resto l’autore è un giornalista politico molto esperto, un peccato che si sia cimentato finora poco spesso nel romanzo. Dell’Omo è anche abile, in una vicenda che di “trappole” ideologiche ne nascondeva certamente tante. Non viene demonizzato nessuno (salvo forse i nazisti); di ogni gruppo o schieramento viene messa in evidenza la controversa, vivida umanità, l’assurdità del contesto in cui è chiamato ad operare e vivere (la guerra) e nel contempo viene scandagliato, in ogni protagonista, il suo più o meno insospettabile lato oscuro: ma quasi sempre astraendosi da giudizi di valore e inseguendo invece un’appassionata intensità descrittiva.

LEGGI L’INTERVISTA A MARCO DELL’OMO