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La baronessa di Monteluco

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Lucrezia Jacobellis dei baroni di Monteluco è una dama elegante e discreta dal passato misterioso. Vive a Roma da qualche anno, ma nessuno sa da dove viene. Si dedica all’insegnamento di lingue e frequenta assiduamente le funzioni religiose, inoltre si occupa di volontariato a favore di orfani e bambini abbandonati, numerosi nel primo Novecento a causa delle morti peri partum, delle malattie infettive e della povertà: il finanziamento statale e le donazioni dei privati non sono sufficienti, e Lucrezia, grazie alla sua disponibilità a svolgere attività ricreative, dona un po’ di svago alle condizioni tristi e bisognose di questi orfanotrofi. L’unico svago che invece si concede per sé è il tempo trascorso con la cugina Eleonora, marchesa di Liverano, e il marito Alfonso, pur sottraendosi quasi sempre ai loro frequenti ricevimenti, senza che la cugina riesca a farle abbandonare lo stile di vita severo che lei si è imposta. A Lucrezia è rimasta solo Eleonora: da tempo non torna nei suoi luoghi d’origine, e sebbene lo scandalo che la riguarda sia sparito da un pezzo dalle chiacchiere da salotto, ormai rimpiazzato da nuovi pettegolezzi, se n’è andata dai luoghi scenari di tanta afflizione, intenzionata a mettere più distanza possibile tra il passato e il futuro, senza sapere che, qualche volta, il destino “si diverte a riannodare fili che sembravano recisi”…

Ispirato a una storia vera e con reali riferimenti storici, La baronessa di Monteluco è un viaggio attraverso la trasformazione interiore, la scoperta dell’identità femminile e la riconquista della libertà: il personaggio di Lucrezia, sempre prostrato dalle emozioni, non suscita facilmente empatia nel lettore, con la sua fastidiosa fragilità e l’incapacità di prendere decisioni, tuttavia – pioniera per l’epoca – compie un percorso eccezionale, durante il quale poco alla volta si libera di zavorre emotive e si riappacifica coi propri sentimenti. Marisa Di Bello crea quindi un romanzo circolare, in cui l’amore, rappresentato sotto varie forme, è perfetto solo quando è imperfetto. Lo stile, tuttavia, rigoroso e preciso (troppo), impostato quasi, e l’utilizzo di parole ed espressioni desuete se da un lato contestualizzano ed esaltano l’impronta storica, dall’altra appesantiscono la narrazione, privandola di scorrevolezza e calore. Il contesto storico ha un peso notevole nella trama, tanto che a volte le vicende dei protagonisti sono lasciate un po’ da parte in favore della narrazione dei fatti autentici che però restano comunque troppo poco sviluppati per renderlo un romanzo storico: l’opera resta pertanto appesa a oscillare a metà tra due diverse etichette senza possedere le caratteristiche di una o dell’altra. I segreti del passato di Lucrezia vengono trascinati per le lunghe, un particolare alla volta: questo se all’inizio incuriosisce, poi annoia e irrita; lo stesso vale per l’aggiunta di particolari inutili per la storia che non fanno altro che allungare il brodo senza aggiungere nulla. Sproporzionato il rapporto tra testo e dialoghi: i pochi che ci sono, sono lunghi monologhi irreali. Peccato per l’esecuzione, perché l’idea era buona, gli argomenti trattati intensi e attualissimi (amore, sofferenza, guerra e incertezza del futuro, addii, ricordi che tornano dolorosi e indesiderati, destino delle persone…) e meritavano una chance diversa.