
Il periodo attuale è molto intenso per la cucina, ma a fronte di una grande sovraesposizione ‒ anche mediatica ‒ e di una ricerca sempre più approfondita verso nuove tecniche di cottura e non solo, si va un po’ perdendo, in questa confusione complessiva, che i valori autentici oltre al rispetto della materia prima e delle modalità per un suo corretto utilizzo sono anche nella sensorialità. Anzi, mettere in gioco i sensi è un’abilità che chi sta in cucina non deve mai dimenticare. Così come non dobbiamo dimenticarcelo noi che stiamo dall’altra parte, vestendo i panni di chi degusta. La meravigliosa “scarpetta”, così poco “bon ton” per i più, ma che ci riempie così tanto di soddisfazione, fa parte di un rituale che si perde nella storia dell'umanità. In Sudamerica, in Italia, così come in Giappone, con il pane, il riso o con una foglia: l’importante è farla con le mani! Il cibo è spontaneità e il pane, come tutto il resto, deve assicurarci questo appagamento dei sensi. Così, se nel fare la scarpetta, ci si ungono le dita, ben venga, fa tutto parte della “goduriosità” del gesto. Ma nel pane c’è anche un altro tipo di soddisfazione: quella della conoscenza fisica, materiale, quasi carnale dell’impastarlo, tuffandoci dentro le mani, respirandone gli odori, pregustandone il sapore, sentendo quasi lo strusciare delle nostre dita affondate in questa morbidezza, con il gusto di vederlo crescere, lievitare, prendere forma, cuocere, diventare croccante...
Dicono che sia terapeutico impastare il pane, prendere quell’impasto e “sbatterlo” sul tavolo, piuttosto che farlo con chi ci ha mandato fuori dai gangheri... Beh, non è proprio quello che ci insegna Antonio Lamberto Martino, uomo gentile e che coglie solo il meglio da questa arte manuale, non proprio semplice. Di sicuro non basta la poesia, anche se serve metterci cuore e passione, avendo la pazienza di riprovarci sempre, pure quando qualcosa va storto. La corretta panificazione passa attraverso anni di studio, la scelta accurata delle farine migliori che derivano da grani diversi e ogni territorio ha i suoi. Anche il lievito deve essere naturale (la pasta madre) e se si ha l’accortezza di seguire le indicazioni del libro è possibile crearselo da zero, partendo solo da acqua e farina. Quello che traspare da ogni riga di questa prima fatica del panificatore più famoso d’Italia e da ogni ricetta contenuta (ce ne sono una cinquantina, suddivise per tipologia di pane con piatti di verdura o carne che l’accompagnano volentieri anche per la famosa scarpetta, fino alle focacce, ai calzoni e ai grissini), è un grande amore per quello che fa, una passione senza fine che mescola ai ricordi della sua infanzia, ai sapori della sua meravigliosa Sicilia, ai suggerimenti per ciascuna possibile variante sul tema. Ed è così coinvolgente che, dopo aver letto con avidità ogni spiegazione, si è colti dalla voglia di mettere le mani in pasta, con il desiderio che l’esito finale possa essere lo stesso delle foto di Losan Piatti che rendono il libro ancora più convincente...
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