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La buca

La buca

Asa saluta le colleghe, lascia quel lavoro full-time a contratto che nemmeno le piaceva poi molto, con tutti quegli straordinari e la paga ridicola. Senza nemmeno troppi rimpianti, a dire il vero. Le basta infatti ripensare a tutte quelle mansioni extra svolte per ritrovarsi con miseri bonus, elargiti in buste contenenti tre banconote da diecimila yen come “piccolo dono di gratitudine”. La ventesima parte di quello che spetta a dipendenti fissi. Adesso che non ha più vincoli, può seguire il marito nella sua nuova sede di lavoro, in provincia. Ma è davvero pronta ad impersonare una devota moglie casalinga? Per di più abiteranno in una casa di proprietà dei genitori di suo marito, giusto per risparmiare sull’affitto adesso che lo stipendio sarà solo uno. Muneaki esce ogni mattina per andare al lavoro e ad Asa resta ben poco da fare da sola in casa; i giorni si susseguono ognuno uguale al precedente, una ripetizione infinita capace di cancellare la percezione dello scorrere del tempo. A rompere quello stato di torpore, uno strano accadimento: la suocera, Tomiko, la chiama e le chiede di effettuare un pagamento usando dei soldi da lei preparati in una busta. È proprio durante quel breve tratto che separa casa sua dal 7-Eleven che Asa sperimenterà incontri davvero bizzarri e finirà con il cadere dentro ad una strana buca, profonda poco più di un metro...

Con questo romanzo del 2014, vincitore del prestigioso premio Akutagawa, Hiroko Oyamada riprende da dove era rimasta con La fabbrica (Neri Pozza, 2021), distaccandosi però dal delirante e alienante mondo del lavoro giapponese per spostarsi in una banale quotidianità. In seguito al trasferimento del marito, Asa lascia la metropoli, la frenesia e le costrizioni del suo impiego sottopagato per sperimentare l’immobilità e la calma della provincia. La riflessione sulla condizione della donna all’interno del mondo del lavoro e la definizione dell’identità nel contesto familiare permea la narrazione sottilmente, contribuendo ad ancorare la metafora surreale de La buca a qualcosa che invece è estremamente reale e quotidiano per il Giappone contemporaneo. La narrazione di superficie, dedicata alla cornice sociale, muta piano piano e in punta di piedi la Oyamada scende nel fantastico, immergendosi nell’onirico. Il viaggio di Asa “Alice” nel suo personale paese delle meraviglie inizia seguendo non un bianco coniglio ma una bestia scura indefinibile visibile solo a pochi. Si annida all’interno delle strane buche che si nascondono ovunque nel vicinato. Sembra quasi inevitabile che Asa vi cada, e da quel momento la sua percezione della realtà muta. Ai lettori di Murakami, il tema della buca risulterà familiare (ve ne sono ad esempio ne L'uccello che girava le viti del mondo o ne L’assassinio del commendatore). I suoi personaggi entrano in buche per accedere ad altre dimensioni, per esplorare loro stessi, per connettersi al mondo, per sentirsi liberi. Anche Asa riesce ad accede ad una nuova realtà dove non sente più il frinire delle cicale, ma percepisce le grida di bambini e incontra figure assurde e misteriose che sembrano proiettarla in una dimensione più spirituale che forse solo lei è in grado di percepire. E come lei, solo poche altre anime particolari, come quella del silenzioso nonno, impegnato ad innaffiare con ossessiva costanza il giardino di casa, sembrano essere in grado di vedere quello strano animale. Un racconto denso di metafore, di coincidenze e intrecci che ogni lettore si sentirà sfidato a interpretare e sviluppare, a suo modo.