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La campana di Marbach

La campana di Marbach

Antonio Ligabue, o meglio Laccabue, nasce a Zurigo il 18 dicembre del 1899. La madre, Maria Elisabetta Costa, è un’emigrata italiana, originaria di Cencenighe (ora Cencenighe Agordino, in provincia di Belluno). Maria Elisabetta risiede a Frauenfield, nel Canton Turgovia, dove fa l’operaia in una fabbrica. Vive da sola, ma ha un uomo, che non è però il padre di Antonio, di cui invece non si ha traccia. L’uomo con il quale si frequenta Maria Elisabetta si chiama Bonfiglio Laccabue, lavora in un cantiere e nel tempo libero alza - e anche parecchio - il gomito. Un anno dopo la nascita di Antonio, Maria Elisabetta si scopre di nuovo incinta: il padre ha questa volta un nome e un cognome: Bonfiglio Laccabue. Alla donna non resta che sposarlo e chiedergli di legittimare Antonio. Solo così infatti per il bambino sarà possibile condurre un’esistenza dignitosa. I due amanti convolano a nozze il 18 gennaio 1901 presso il municipio di Amriswil, mentre il 10 marzo dello stesso anno l’ufficio civile firma l’atto di legittimazione e Antonio viene riconosciuto ufficialmente da Bonfiglio. Non possedendo tuttavia i mezzi economici necessari per provvedere al sostentamento di Antonio, la coppia decide di darlo in affidamento. Ad accoglierlo sono Elise Göbel e il marito Johannes Valentin, i quali impiegano poco tempo a capire che c’è qualcosa che non va nel pflegekind (cioè il bambino dato in affidamento): a quattro anni e mezzo Antonio non parla, non ride, non gioca con i compagni e passa il tempo a scarabocchiare sui fogli o a guardare il cielo. Come se non bastasse, il corpo è piccolo, la schiena è curva e la testa è deformata...

Ordinario di letteratura italiana presso l’Università di San Gallo, Renato Martinoni aveva gettato le basi de La campana di Marbach già nel 2019, quando alcune indagini di archivio erano sfociate in Antonio Ligabue. Gli anni della formazione. Se però quest’ultimo segue in maniera più rigorosa il primo ventennio del pittore e scultore italiano, ne La campana di Marbach, che pure preserva una cornice geografica e sociale veritiera, all’interno della quale si muovono personaggi realmente esistiti, Martinoni si è “lasciato impigliare in una trama fantasiosa di fatti e di figure che [...] non hanno alcun riferimento nella verità storica”. L’opera, che romanza i primi venti anni di vita dell’artista di origine elvetica, si muove seguendo due direttrici. La prima – la più importante – segue le vicende del futuro esponente dell’arte naïf, analizzando in particolare il travagliato, ma profondo legame con la madre adottiva Elise, l’interesse di Antonio verso gli animali, l’emarginazione sociale di cui è vittima perché diverso, perché a metà tra un italiano e uno svizzero, e i suoi numerosi ingressi nei manicomi. L’altra illustra invece le (dis)avventure della famiglia composta da Maria Elisabetta Costa, Bonfiglio Laccabue e i loro figli, mettendone in luce gli stenti, i deliri, i continui traslochi e la difficoltà incontrata nell’inserirsi stabilmente all’interno di una comunità. Nel complesso, è tanto curiosa quanto originale la scelta di omaggiare e descrivere l’artista terminando il racconto al momento del suo ingresso in Italia, dove poi diverrà a tutti gli effetti Antonio Ligabue. A questo proposito non può che correre in soccorso il film di Giorgio Diritti Volevo nascondermi (fatevi un favore e andate a vederlo, Elio Germano è magistrale): insieme, il film e La campana di Marbach offrono la possibilità di conoscere e apprezzare fino in fondo uno dei migliori pittori e scultori del Novecento.