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La cartolina

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Lélia fuma la prima sigaretta della giornata, la sua preferita, quella che brucia i polmoni e stordisce appena. Fuori c’è una bianca coltre di neve. Esce per ammirarla da vicino e annusare il freddo che pizzica le narici. Passa il postino e lascia cadere la posta a terra, la cassetta delle lettere è rotta da tempo e nessuno ha intenzione di sostituirla. Attenta a non scivolare sulla neve con le pantofole, Léila raccoglie le buste e si affretta a rientrare in casa. Le scorre velocemente: auguri di buone feste e di buon anno da parte di studenti e colleghi dell’università, bolletta del gas, lettere per suo marito dello stesso tenore. Tra quella posta banale dei primi di gennaio c’è nascosta anche una cartolina. Léila è subito incuriosita dalla calligrafia un po' maldestra e mai vista prima. Nessuna frase, niente auguri, solo quattro nomi: Ephraïm, Emma, Noémie, Jacques. Sono i nomi dei suoi due nonni materni, della zia e dello zio. Lei non li ha mai conosciuti, sono tutti e quattro stati deportati e uccisi ad Auschwitz nel 1942 e sessant’anni dopo il 6 gennaio 2003, ritornano. Léila è scossa, impaurita, che scherzo orribile le stanno facendo? Tremante si rivolge a suo marito Pierre e gli mostra la cartolina. Lui la prende, la osserva, solo quattro nomi e null’altro. La domenica successiva tutta la famiglia è riunita a pranzo, i genitori e le due figlie e la cartolina passa di mano in mano in uno strano silenzio. È stata spedita dall’ufficio postale del Louvre, il più grande di Parigi e raffigura l’Opéra Garnier. All’occhio attento di Pierre non sfugge che gli autobus sulla cartolina hanno smesso di circolare nel 1996, sostituiti da modelli più nuovi e che le pubblicità nei cartelloni sono degli anni Novanta. Perché aspettare dieci anni prima di spedire una cartolina? Ne passeranno altri dieci prima che Anne chieda a sua madre Léila di raccontarle la storia di quei quattro nomi…

La cartolina di Anne Berest, romanzo pluripremiato in Francia, è un libro in cui l’autrice va alla ricerca dei suoi progenitori, ricostruendo con cura i dettagli storici che li hanno portati in Russia, Palestina, Lettonia ed infine Auschwitz. Indagare la Shoah per chi non l’ha vissuta direttamente è difficile, ma l’autrice ci riesce, immergendosi nel passato della propria famiglia e nella sua stessa identità ebraica tenuta troppo a lungo a distanza. Narrazione e inchiesta vera e propria si intrecciano, sulle tracce dell’unica antenata sopravvissuta, la nonna materna Myriam, l’unica figlia di Ephraim ed Emma sopravvissuta alla Shoah. Donna della Resistenza, scampata ai lager, Myriam è probabilmente il personaggio più riuscito, la persona dall’anima più complessa, due matrimoni, sempre consumata dai sensi di colpa, che si allontanerà anche dalla figlia Léila. È sua nipote Anne, una ventina d’anni dopo, a riprendere la cartolina in mano per risolvere la questione e ricostruire le vicende di cui sua madre, pur avendo ricercato e archiviato tanto, non ha mai voluto o saputo parlare. Il lettore è coinvolto direttamente, perché l’autrice non mostra, narrando, di sapere già tutto. Infatti, riesce a trasmettere ogni attimo di scoramento per l’indagine che non prosegue, ogni delusione dell’investigatore privato che ha assunto e il dolore provato via via che conosce meglio le vite di Ephraïm e di Emma, di Myriam e di Vicente, di Jacques e Noémie. La famiglia Rabinovitch si svela al lettore con tutte le contraddizioni e la difficoltà di integrarsi anche in una Francia post-bellica. Anne chiude il cerchio con un grande affresco del mondo perduto, cancellato dai nazisti e dai loro fiancheggiatori, eppure ancora vivo. È il suo contributo alla causa, in un pianeta che sta perdendo gli ultimi testimoni diretti dello sterminio, messo in atto nella Seconda guerra mondiale, questo fa la differenza. La riflessione di Anne Berest si allarga anche al presente, al razzismo e all’antisemitismo di oggi, a piccole e grandi discriminazioni, come quelle che subisce la figlia della scrittrice. La bambina, che frequenta una piccola scuola pubblica del quartiere, rincasando ha detto alla nonna: «Nonna, lo sai che a scuola non amano molto gli ebrei». La Brerest ne è rimasta sconvolta. Evitando di turbare la figlia cerca di rielaborare, pur non trovando le parole per affrontare quella situazione, perché a casa sua non aveva mai davvero affrontato il passato né che cosa potesse significare essere ebrei. Con La cartolina lo ha fatto, magnificamente.