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La casa degli sguardi

La casa degli sguardi

Il suo obiettivo di ogni sera è quello di non ricordare nulla, mentre ciò che lo preoccupa ogni mattina è il fatto di non ricordare nulla. Sì, perché Daniele ogni mattina, al risveglio, comincia a respirare come appena riemerso da una lunga apnea, senza sogni né suoni. La madre di solito è lì, addormentata sui tre gradini che portano alla sua stanza ed ogni volta che il figlio si sveglia lei lo guarda come sperando qualcosa, una novità che non si avvera mai. Tante sono le diagnosi che sono state fatte a Daniele nel tempo: mania depressiva, borderline, disturbo della personalità, sindrome d’ansia generalizzata. Ed altri nomi, ma la dimenticanza li ha portati via. Daniele è un poeta, scrive poesie ed è stimato anche da alcuni autori piuttosto importanti, ma la poesia può servire a testimoniare il dolore, non a curarlo; perciò la sua vita è diventata una lunga ricerca della dimenticanza, da raggiungere attraverso l’alcool. Ormai esce per bere e beve per uscire e sa che di questo morirà, prima o poi. La prima cosa che beve ogni giorno basta e avanza, quello che viene dopo non conta. Contano invece le stazioni del suo viaggio: i bar, in ognuno dei quali un bicchiere di bianco, perché è la cosa che costa meno in assoluto. Ed ogni tanto un incidente, una rissa, un ospedale a fermare questa corsa verso il baratro, ma la dimenticanza cancella tutto e si ricomincia. Daniele sta uccidendo chi vorrebbe proteggere e sa che sta distruggendo tutto. Per questo, quando chiama l’amico Davide (un poeta e suo unico amico, in realtà) per chiedergli aiuto non ha vergogna, perché non può permettersi neppure il pudore. E Davide lo richiama, la sera stessa. Gli ha trovato un lavoro, per una cooperativa di servizi; farà l’operaio, pulizie e facchinaggio al Bambino Gesù, l’ospedale di Roma in cui curano i bambini, gli fa notare la madre. Dovrà presentarsi il giorno successivo per prendere accordi. I suoi acconsentono a fargli bere in casa quel poco d’alcool che serve per far risalire tutto quello che gli viaggia nel corpo. La dimenticanza arriva presto e nella memoria l’ultima immagine è quella della madre, accanto al suo letto, meno loquace del solito…

Nel romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli - che si mette a nudo nelle sue fragilità e lo fa in maniera onesta e potente - è racchiusa la storia di Daniele, appunto, un ragazzo di 25 anni, poeta stimato dall’animo distrutto da tempo, il cui unico desiderio è quello di dimenticare. È una dipendenza forte, quella di Daniele per il bianco: un bicchiere, poi un altro ed un altro ancora fino a quando la dimenticanza si impossessa di lui e lo aiuta a perdere se stesso, quella dimenticanza che è la sola cura per cancellare il peso della propria anima tormentata. I litri di bianco che consuma, apparentemente incurante del dolore che il suo comportamento procura alla famiglia, gli consentono di scavare una trincea tra sé ed il mondo, di ovattare il dolore sordo che gli rimbalza dalla testa al cuore e gli mostra un futuro incerto, l’unico futuro possibile per quelli come lui, falliti, ignavi e codardi. Un viaggio negli inferi, quindi, un vero e proprio diario della discesa, che viene però ad un certo punto rallentata dall’incontro con una nuova opportunità di lavoro, l’unica possibile. Il percorso parallelo di Daniele lungo le vie dell’alcool e dei bambini malati nei corridoi dell’ospedale sarà finalmente la scintilla della rinascita, l’innesco per una presa di coscienza straziante e catartica allo stesso tempo. Daniele troverà, tra le corsie dell’ospedale, accanto alla tragicità della morte dei più piccoli cui assiste da spettatore avvilito ed impotente, ed insieme al gruppo dei colleghi di lavoro, che finalmente cominceranno a vederlo anziché limitarsi a guardarlo, la forza per cominciare a purificarsi, non solo dallo schifo delle sostanze che lo hanno nutrito per anni, ma anche dal desiderio di soccombere, di annientarsi e di distruggersi. Deciderà di non lasciarsi inghiottire dalla disperazione e riuscirà a prendere coscienza di sé attraverso gli altri. Capirà che occorre fronteggiare l’orrore per sfondarlo e che non ci si arriva senza coraggio. E diventerà un combattente, fragile ma lucidissimo. Mencarelli, nel raccontare di se stesso, non si è risparmiato nulla ed è stato capace di presentare una realtà non sempre facile da comprendere, una realtà che spesso disturba ed ancora più spesso sconvolge, in maniera potente e straziante, con uno stile essenziale ed una padronanza della parola scritta che incanta. È riuscito a guardare in faccia il dolore, con le sue brutture e le sue sofferenze, ma è stato capace poi di continuare a cercare bellezza, a cercare vita, a cercare empatia, a cercare amore. Un cammino difficile, fatto non tanto di concetti o parole complicate, ma fatto soprattutto di sguardi e di certezze: la certezza che la rinascita, pur in mezzo a tanto orrore, è possibile, per i lottatori.