
Spencer O’Malley non avrebbe mai potuto aspettarsi che ad Hanover, una cittadina di diecimila abitanti in cui non succede praticamente mai nulla, potesse essere ritrovato il corpo congelato di una ragazza sepolto sotto sessanta centimetri di neve, nudo e con solo gli stivali nuovi indosso, soprattutto quando viene a scoprire che il corpo in questione appartiene a Kristina Kim, una delle più brave giocatrici di basket che l’all-ivy abbia mai visto, una delle presenze più significative che la Red Leaves, dove lavorava, abbia mai avuto. Frequentava il Dartmouth, aveva amici che le volevano bene, aveva un ragazzo persino. Era bella e popolare. I ragazzi del college, quando Kristina Kim si ubriacava, di solito si riunivano accanto alla finestra del Feldberg e la guardavano fare avanti indietro sul ponte. Nel campus non si aspettava altro se non di vederla lì, su quel ponte di cemento lungo quindici metri, sospeso su un pendio ripido e lei nuda, con le braccia aperte per tenersi in equilibrio. Unico imperativo? Essere sbronza. Quello era un requisito fondamentale. L’alcol le dava la sensazione di avere il controllo, la stabilità necessaria affinché fosse pronta nel caso una caduta le fosse costata molto più di un braccio rotto o un ginocchio sbucciato. Anche la sera della sua morte Kristina Kim ha camminato sul ponte, solo che quella volta è caduta, schiantandosi in mezzo alla neve, ed in mezzo alla neve, è rimasta sepolta per nove giorni. Peccato che Kristina non è morta cadendo dal ponte...
Dialoghi pungenti e tematiche profonde sono due dei maggiori pregi del secondo romanzo dell’autrice russa, La casa delle foglie rosse, un thriller dall’ambientazione studentesca arricchito di quelle atmosfere inquietanti e suggestive che solo una trama fondata su menzogne ben strutturate riuscirebbe a creare. Paullina Simons analizza alcuni dei temi più dibattuti in assoluto quando si parla di natura umana: il potere e l’intimidazione. E potremmo anche definire il romanzo molto valido sotto questo punto di vista, perché La casa delle foglie rosse ha, a tutti gli effetti, una trama che sa diramarsi attraverso questi due concetti in modo brillante, andando a toccare temi importanti come la famiglia e l’abbandono, ma che purtroppo, in alcuni punti, non riesce ad essere all’altezza degli stessi, rimanendo infatti un po’ troppo in superficie. L’autrice, nonostante dunque i propositi veramente ottimi di un inizio interessante, coinvolgente e addirittura acuto, porta avanti il romanzo fondandolo su una gerarchia sociale basata semplicemente sul poter o meno porre domande, e a tratti abusando di frasi-cliché come “Sono io che faccio le domande, qui”, presenti più spesso di quanto necessario, o di un intuito eccessivamente acuto del detective, andando a un po’ a minare la credibilità della vicenda, che pare portata avanti non da eventi concreti bensì da qualche misteriosa provvidenza di cui solo Spencer O’Malley sembra poter usufruire. Nel complesso è comunque un romanzo misterioso, dai personaggi ben delineati e una trama acuta abbastanza per garantire una lettura piacevole.