
Siamo a Roma, in un cupo pomeriggio di aprile. Un uomo elegante si trascina malinconico per Lungotevere dei Vallati. Si ferma a contemplare il numero due, un imponente palazzo umbertino per metà rosso vinaccia e, dopo un momento di esitazione, decide di salire al terzo piano. Quell’uomo è Carlo Verdone, e quella è la casa che la sua famiglia aveva in affitto dal Vaticano dal millenovecentotrenta. Lui è lì perché ha un appuntamento con l’addetto del Vicariato: è giunto il momento di restituire le chiavi. Prima di farlo però, prima di abbandonare definitivamente quel luogo che lo ha visto nascere e crescere, decide di fotografarlo tutto. Il corridoio, dove sua madre ogni carnevale allestiva un prezioso teatrino. Il salotto, sempre pieno di gente, di musica, di cultura, di parole e di risate. Il tavolo della sala da pranzo, dove partorì i primi testi teatrali e fece l’amore con una ragazza dalle gambe pazzesche. Ma i suoni e gli odori sono impossibili da fotografare. I ricordi poi, quelli c’è solo un modo per fissarli in un’istantanea: scrivere. Così Carlo Verdone decide di scrivere la storia di quella casa sopra i portici. Che poi è anche la storia della sua vita…
Un Verdone intimista ci accompagna nella sua giovinezza, una giovinezza inzuppata di quello che sarà poi il suo lavoro e la sua vita: il cinema. Del resto, per un figlio di un docente di storia e critica dei film, un ragazzino che si ritrovava in casa registi ed attori di quel calibro, non poteva essere altrimenti. Ed è quindi inevitabile che sua biografia sia farcita di preziosi aneddoti sui protagonisti della Cinecittà degli anni Sessanta. A distanza di anni Verdone prova ancora una certa soggezione per i vari Fellini, Zeffirelli, De Sica e così via, e il suo sguardo ammirato e rispettoso ci regala un interessante punto di vista di quei personaggi che fecero un’epoca. Ma il giovane Carletto è anche un ragazzo come tanti e tra i suoi ricordi c’è spazio anche per i primi giochi con gli amici, la fauna di governanti che hanno popolato quella casa, gli amori, la clamorosa bocciatura all’esame di storia del cinema causata proprio dal severo giudizio del suo stesso padre. La penna con cui Verdone ci racconta questi episodi è la stessa utilizzata per le sceneggiature dei suoi film più malinconici, ed anche se ogni tanto appaiono sprazzi della sua comicità più classica la sua lettura tende a lasciare un retrogusto piuttosto amaro. Un’opera comunque imprescindibile per tutti i fan dell’attore romano, anche per quelli che ne prediligono l’aspetto puramente comico. E un libro prezioso per tutti coloro che sono sempre avidi di aneddoti sui personaggi e il cinema italiano degli anni d’oro.