
Un nonno che è anche un padre arriva all’aeroporto. Sa che i suoi figli verranno a prenderlo per dargli un passaggio all’appartamento che lo ospiterà per i giorni in cui starà in Svezia. Le sue visite sono sempre brevi e saltuarie; l’appartamento è la sua roccaforte imprescindibile. Un figlio che è anche un padre dà una rassettata all’appartamento in vista dell’arrivo del padre che è anche un nonno: raccatta con uno scottex e butta nella pattumiera le blatte stecchite, disinfetta la superficie della cucina su cui ne aveva trovata una, riempie la dispensa con un po’ di provviste. Se solo suo padre, che è anche un nonno, si degnasse di tenere pulito l’appartamento durante i suoi soggiorni, si eviterebbe la presenza di quelle disgustose bestiole. Questa storia deve finire: ormai sono anni che il padre che è anche un nonno si serve dell’appartamento – che un figlio che è anche un padre ha adibito a studio – ogni qualvolta si degna di tornare. Quello è il suo studio, gli serve per il lavoro. Inoltre, è stufo di dovergli fare da assistente: prenotargli i voli, smistargli la posta (principalmente lettere dalle banche) e gestirgli i conti correnti. Il padre tarda ad arrivare. Una sorella che è anche una figlia è su un taxi, di ritorno a casa. Ha lo stomaco sottosopra, colpito e rivoltato da qualsivoglia profumo o puzza: l’odore di cucina del ristorante in cui ha cenato, l’eccessiva acqua di colonia del tassista, le salviette umide all’aroma di albicocca industriale che si sprigiona dalla confezione semiaperta nell’abitacolo del taxi. Guarda il cellulare, una serie di chiamate perse di suo fratello. Alle nove, alle nove e mezza, alle dieci fino a mezzanotte. E un messaggio: papà non è ancora arrivato. Si è del tutto dimenticata dell’arrivo di suo padre. Ormai sarà tornato a casa da solo, ed è troppo tardi per richiamare il fratello. Un figlio che è anche un padre, dopo la lunga attesa, torna a casa. È in congedo di paternità, è lui che si occupa della figlia di quattro anni, che ama il calcio e che corre veloce come un fulmine, e del piccolino di un anno che si esprime a muggiti. È lui che deve comprare l’occorrente per la festa di compleanno della piccola, è lui che prepara la “precolazione” prima di portarli a scuola. Quando lascia la piccola all’asilo è solito fare boccacce e linguacce per attutire la separazione. Vuole fare vedere a tutti che è un bravo padre. Si sente patetico per questo. La sera, una fidanzata che è anche una mamma, torna a casa e dopo essersi lavata le mani per “liberarsi dai bacilli del trasporto pubblico” cena con i figli e il suo compagno. Lui è stanco, è teso, litigheranno. Lui le dice che il padre è passato a salutarli e così gli ha accennato a una revisione dei termini della clausola. Un figlio che è anche padre pensa sia giunto il tempo di cancellarla ...
Le dinamiche familiari e i rapporti genitori-figli la fanno da padrone nel romanzo di Khemiri, scrittore svedese di origini tunisine. I vincoli parentali legano i personaggi non soltanto da un punto di vista biologico, ma anche da un legame di tipo contrattuale, se non ufficiale, perlomeno ufficioso. Questo legame contrattuale è la “clausola del padre”, da cui il titolo del libro. I legami, si diceva, sono così forti che nella narrazione diventano epiteti dei personaggi stessi, vere e proprie etichette sostitutive dei loro nomi propri, nomi di cui non ci è mai dato sapere. Abbiamo così padri che sono nonni, figli che sono padri, sorelle che sono figlie ma che sono anche madri, madri che sono nonne ed ex-mogli. Ecco dunque persone le cui identità e personalità coincidono con il ruolo che ricoprono per nascita o con il ruolo che assumono nel corso del tempo instaurando legami affettivi. E questi ruoli, volente o nolente, sembrano gonfiarsi sempre di più all’interno dei loro animi, sino a diventare un ingombro soffocante che impedisce una piena autoaffermazione: tutto ciò che i personaggi fanno o pensano è sempre e comunque ricollegabile a quel ruolo. Mi sto comportando da bravo padre? È questo che ci si aspetta da una brava madre o compagna? Lo prosa di Khemiri procede a ritmo concitato attraverso una sintassi asciutta, paratattica. Ma se il testo può apparire scorrevole, il sotto-testo è tutt’altro che liscio o frivolo. Con una gestione dell’analessi e della prolessi non indifferente, l’autore ci mostra non solo uno scontro fra generazioni e culture, ma anche le molteplici sfaccettature di quel prisma che è la vita familiare e la vita interiore dell’uomo. L’autore realizza così un affresco dell’animo umano attraverso una palette di personaggi nevrotici e paranoidi quanto basta, con giovani adulti - figli di una società globalizzata dai contorni fluidi - in crisi con loro stessi senza sapere bene perché, e anziani adulti che, nonostante gli acciacchi del corpo e dello spirito, sembrano aver trovato un loro precario equilibrio. L’illustrazione minimale e dai toni tenui di Andrea Ucini per questa edizione Einaudi è a dir poco adatta; forse John Donne aveva ragione quando scriveva che, per quanto si sforzi, “Nessun uomo è un’isola”.