
Hampshire, campagna inglese. Oltre una vecchia staccionata di legno, al limitare di un bosco, vicino ad un fossato infestato da rovi, c’è un prato crivellato di buchi: tane di conigli. Per la pacifica comunità di erbivori i giorni si susseguono ragionevolmente tranquilli sotto la guida del Capo Coniglio Trearà e della sua Ausla, il gruppo dei guerrieri. Fino a quando Quintilio, un coniglio ipersensibile e malinconico che a volte è preda di misteriose visioni, non inizia a parlare di un incombente pericolo che minaccia il prato: “Una cosa molto brutta! Qualcosa di terribile… (…) Il prato! È coperto di sangue!”. I conigli non possono saperlo perché non sanno leggere il cartello che è stato affisso vicino al campo in cui vivono, ma stanno per iniziare i lavori di edificazione di un centro residenziale proprio sul loro prato. In pochi credono alle profezie di sventura di Quintilio e tra questi non c’è Trearà: l’atmosfera si fa pesante, l’unica soluzione è fuggire. Un piccolo gruppo si coagula attorno a Quintilio e al fratello Moscardo…
Il libro d’esordio del britannico Richard Adams, datato 1972, nasce da una serie di favole inventate durante lunghi viaggi in automobile per tenere occupate le sue due figlie piccole, Juliet e Rosamond (alle quali infatti il romanzo è dedicato). Rifiutato e riscritto per ben 6 volte, il manoscritto fu pubblicato da un piccolo editore londinese, Rex Collings, e solo dopo qualche anno divenne un bestseller mondiale pluripremiato (Carnegie Medal, Guardian Prize). Più che il plot - dopotutto non così sorprendente – a colpire il lettore è innanzitutto il linguaggio: Adams ha cercato di creare una cultura e un modo espressivo coerenti con una società tribale di conigli campagnoli, una lingua “lapina” a sua volta declinata in dialetti con cui non solo comunicare, ma raccontare e raccontarsi un pantheon di leggende e fiabe religiose. Rendere questa complessità ha rappresentato naturalmente una vera sfida per i traduttori: a tal proposito, magnifico il lavoro di Pier Francesco Paolini per il nostro Paese. L’altro segreto del successo di questa favola proto-ambientalista e antimilitarista (impossibile spiegarvi perché senza spoiler) sono gli echi classici: dal riferimento più immediato - Senofonte con la sua Anabasi - alla figura del coniglio Quintilio, una vera Cassandra d’omerica memoria, solo con più pelo. Molti hanno visto (o piuttosto voluto vedere) ne La collina dei conigli allegorie politiche o religiose più o meno ragionevoli, nonostante Adams abbia a più riprese smentito ogni sua intenzione in tal senso. Rassegnatevi, esegeti troppo zelanti. Non c’è nessuna metafora. Arrendetevi alla pura forza dell’archetipo.