
Sotto il suo scialle, il pane è ancora caldo e il cuore di May Owens rimbalza contro la crosta. Corre più in fretta che può lungo il fosso. Quando sale sulla strada piatta, nasconde il bottino in seno e si allontana di buon passo. Quando sente, alle spalle, il fornaio gridare, non si volta, ma ricomincia a correre. Percorre un viottolo più velocemente possibile, ma il figlio del fornaio non la molla e le sta alle calcagna. Quando finalmente la raggiunge, allunga una mano e la prende per il collo, mandandola a terra con una guancia premuta nel fango. Allora May con le mani prende la pagnotta e la spinge verso l’alto. Tanto vale addentarla. Se deve finire in galera e uccisa, tanto vale che ciò accada quando ha la pancia piena. Quando il secondino la fa uscire dalla sua cella, si ritrova in fila con altre venti ragazze, tante sono quelle arrestate nella stessa settimana in cui è stata catturata anche lei. Tre ragazze sono scappate di casa, due sono prostitute, cinque borseggiatrici, otto truffatrici e una è esattamente come May, una brava ragazza che per fame ha ucciso un cane, pensandolo randagio e scoprendo solo in un secondo momento che apparteneva a un lord. Tutte in fila, le ragazze escono all’aria nebbiosa del mattino d’inizio primavera. Marciano in mezzo alla strada e, anche se il tribunale è adiacente al carcere, la vergogna di camminare davanti a tutti fa parte del castigo loro riservato. La gente grida in faccia alle venti disgraziate. C’è chi le chiama derelitte, chi le addita come Eve. Ma May non si sente un’Eva, non è il male puro come la donna che ha tradito Adamo, il Figlio del Creatore. Davanti al giudice, ognuna delle ragazze viene giudicata e condannata e May ascolta in silenzio - rigirandosi l’anello che porta al dito, unico ricordo che le resta di suo padre - il destino riservato alle sue compagne di sventura. Il suo turno, tuttavia, non arriva mai e, dopo aver pronunciato la sentenza per la ragazza che la precede, il pretore esce dalla stanza attraverso la stessa porta laterale dalla quale è entrato. Nessuna condanna, dunque, per la giovane May e non averne una è molto peggio che averla ricevuta…
I mangiapeccati sono realmente esistiti in alcune zone del Regno Unito. La loro funzione era quella di assolvere i defunti dai loro peccati raccogliendo le loro ultime confessioni, inghiottendo un boccone di pane in presenza dei loro cadaveri e assicurando in questo modo il perdono da ogni loro colpa. Megan Campisi - drammaturga insegnante e scrittrice statunitense - offre al lettore il ritratto di un’eroina moderna, coraggiosa tanto da cambiare il proprio destino grazie alla propria determinazione e ferma forza di volontà. Ambientato nell’Inghilterra dell’epoca georgiana, il romanzo mostra lo spaccato di un’età raccontata attraverso gli occhi di una composita classe sociale - fatta di derelitti e poveracci - dominata dall’ignoranza e dal peso delle credenze popolari e delle superstizioni. Si tratta di timorati di un Dio che è castigo, un Dio che punisce e che si accanisce soprattutto sugli ultimi, quelli già succubi di una giustizia sommaria, esercitata da una minoranza che detiene il potere. May, la giovanissima protagonista del romanzo, si inquadra in questa cornice e paga duramente le conseguenze del suo gesto: accusata di aver rubato un pezzo di pane, non viene impiccata, sorte che meritano i ladri come lei, ma è costretta a indossare un collare, che la rende identificabile, e a diventare una mangiapeccati. Non può rivolgere la parola ad anima viva e impara le regole di un mestiere terribile presso la mangiapeccati anziana della zona. Quando viene obbligata a prestare i propri servigi a corte, May intuisce che una fitta rete di menzogne è stata intessuta e la regina rischia di rimanerne intrappolata. Solo il suo intervento, forse, può aiutare a ristabilire l’ordine e ad abbattere l’impalcatura di intrighi che rischia di diventare sempre più imponente. La voce narrante è quella di May ed è ingenua e infantile, come la sua giovane età impone. Tuttavia, è anche capace di acute osservazioni che le consentono di raccontare con precisione la situazione politica e sociale del tempo in cui vive e di guardare con coraggio e onesta a sé e alla propria esistenza. Con una prosa efficace, evocativa e ricca di immagini, la Campisi ha scritto un gioiello narrativo, che racconta la solitudine e l’indifferenza, ma anche la compassione e la generosità.