
Nella famiglia di Annie le donne parlano ad alta voce, occupano il loro spazio con sicurezza e incuranza dell’aspetto esteriore. Non sono truccate, smaltate, con i capelli sempre in ordine e i vestiti stirati. Lavorano dalla mattina alla sera, non hanno tempo di curare la casa, figurarsi se stesse. Donne che agiscono nel mondo, cui non appartengono l’affetto e le smancerie. In giro per i campi, in fabbrica, in negozio. I suoi genitori gestiscono insieme un caffè-drogheria. I ruoli sono spartiti equamente e secondo i gusti personali: alla madre il negozio e la lavanderia; al padre il bar, la cucina e i piatti da lavare. Lei a combattere con i fornitori e servire le clienti, intrattenendo dialoghi interminabili, aggiornandosi sulle nuove riguardanti i figli, i genitori, i parenti; lui a servire da bere a uomini e vederli trasformarsi da sobri silenziosi e privi di interesse a sbronzi esagitati e attaccabrighe.
Annie ha una certezza assoluta: la superiorità delle donne, la parte seria del genere umano, quella responsabile che amministra la casa e la famiglia. Poi, crescendo, una diversa educazione e un’ombra. Il bordo del battiscopa non è stato spolverato da mesi. Annie non sapeva che anche quello dovesse essere pulito, ma la sua compagna, Brigitte, sì; insieme a un sacco di altre cose che non evita di farle notare. Allora sua madre non è perfetta. Non è la madre perfetta che gli altri intendono, il modello di donna che la scuola vuole formare. Il fantasma di una diversa narrazione, di un preciso schema dei ruoli, cui la società richiede che anche lei si conformi…
La donna gelata racconta la lenta trasformazione di una bambina cresciuta senza sospettare alcuna differenza tra maschile e femminile, ritrovatasi risucchiata nel ruolo di moglie e madre senza un’effettiva convinzione, quasi per dovere; la trasformazione in una donna gelata. Mentre ripercorre a ritroso i passi che l’hanno portata così lontana da se stessa, proprio mentre cercava di somigliare al modello di donna cui doveva conformarsi, Annie è molto lucida. Lo scavo è un esercizio che le appartiene, l’autobiografismo un bisogno. Non si biasima, né cerca di giustificarsi, non tace l’ingenuità che non le appartiene più, ma che è stata parte del suo percorso, i sogni a occhi aperti, le fantasie romantiche, gli errori più bassi, quando ha toccato il fondo. Ammette l’invidia nei confronti dell’uomo che le è accanto e può pretendere la propria autoaffermazione, che lavora e si merita pasti caldi pronti e una casa pulita; il senso di colpa per ambire ad altrettanto. Annie Ernaux è nata nel 1940, ma non parla di altri tempi. Ogni donna e uomo è costretta/o ancora a vivere queste diseguaglianze, a subire i retaggi culturali di quanto il patriarcato ha costruito in secoli di egemonia. Ogni giorno ognuno di noi deve destreggiarsi nell’essere se stesso tra l’aderenza a uno stereotipo e la sua lotta, tra il rischio di rimanere ingabbiati in uno schema e quello di restar fuori da una società ancora da svecchiare. La narrazione di una donna tutt’altro che perfetta ce ne rende consapevoli, mentre ci beiamo di una scrittura perfetta, quella sì.