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La famiglia Singer

La famiglia Singer

Grida d’allarme e corse ai rifugi antiaerei sono i primi ricordi di Maurice. Dirigibili Zeppelin invadono il cielo di Londra lasciando cadere uova esplosive: la Gran Bretagna è sotto il constante attacco tedesco della Prima guerra mondiale. Maurice sarà ancora a Londra sotto le bombe della Luftwaffe di Hitler. Un cielo crudele a tratteggiare un destino da accettare con rassegnazione o dal quale fuggire. Come era fuggita dalla Crimea dei pogrom zaristi la famiglia del padre. Dal villaggio vicino Varsavia quella della madre. I genitori di Maurice si sono infatti conosciuti ad Anversa, città di taglio e commercio di diamanti nella quale hanno trovato rifugio molti ebrei askenaziti. Era stato un matrimonio combinato, i due non si ameranno mai. Maurice, il cui vero nome è Moishe Kreitman, non tarda a capirlo e per tutta la vita sentirà il peso del quale sua madre Eshter l’ha investito: quello di farsi suo costante, saldo e irrinunciabile riferimento affettivo. Esther mai voluta dalla propria di madre, la nonna che Maurice vedrà una sola volta durante un viaggio nell’Alte Haym, il vecchio villaggio di lungo stanziamento, trovando una donna che avrebbe voluto nascere uomo per essere Rabbino e che s’è sempre rifiutata di toccare la propria figlia. Eshter soffre d’epilessia e Maurice ha sempre avuto paura ad allontanarsene. “Tua madre era pazza” gli dirà suo zio in uno dei loro rari incontri. Lo zio in questione è Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la letteratura nel ’78. Eppure, tra tutti i Singer, era stata proprio Eshter la prima ad iniziare a dedicarsi alla scrittura, soprattutto su riviste Yiddish, senza aver mai incontrato la fama del fratello minore. Gli shaidim, i demoni che popolano il mondo narrativo del celebre zio Isaac, sempre a metà tra il reale e lo jene velt, l’altro mondo, sono gli stessi che abitano gli incubi e i tormenti quotidiani di Eshter. Maurice cresce a sua volta tormentato, solitario ed insicuro, sempre con l’incombente figura materna pronta a far leva sulla sua fragile sensibilità. Hazel Karr, la figlia di Maurice, scriverà “Lei (Eshter, ndr) doveva considerare la mia esistenza come un disastro poiché vedeva in me la ragione del matrimonio di suo figlio”. Invece Hazel non sarà un disastro: fa appena in tempo a nascere che i bombardamenti su Londra cessano. Ricorderà ancora “Mio padre non sapeva come comportarsi con queste due femmine, di cui la prima (moglie di Maurice, ndr) pensava di averlo salvato dagli artigli di una madre eccessiva, e l’altra che le era stato rubato il figlio”. La guerra è finita. Adesso è ora di vivere, anzi, è sempre il momento di vivere...

Un gioiellino. Un gioiellino prezioso che solo dopo averlo scoperto ci si rende conto non essere un orpello, bensì un pezzo fondamentale da inserire nella struttura portante sulla quale si edifica la cultura del Novecento. Oltre ad essere redatto con una scrittura ad “alta funzionalità” (Maurice Carr è stato giornalista per tutta la vita) e farci vivere vicende private coinvolgenti come qualsiasi saga familiare autentica, c’è di più, molto di più. La saga dei Singer-Kreitman-Fuchs fa comprendere indirettamente quanto tutto il meglio della cultura, soprattutto quella del secolo passato, sia debitrice nei confronti dell’ebraismo dell’Europa centrale ed orientale. Esistono tante –molto diverse tra loro e spesso in contrasto al proprio interno- “culture ebraiche”, ma quella askenazita di tendenza laica (propugnatrice del sionismo di stampo socialista e della partecipazione alla vita pubblica con un concetto di “Stato” che supera quello dello shtetl, la comunità chiusa), a causa delle migrazioni commerciali unite ad altre non proprio volontarie, ha saputo mettere in comunicazione la Lituania o il Kazakhstan con la Francia quanto il Caucaso con l’Inghilterra. Questa “coesione disgregata” ha consentito lo sviluppo di un pensiero dinamico che, unitamente alle indispensabili capacità di adattamento e alla necessaria memoria preservatrice, ha partorito le migliori espressioni artistiche e intellettuali. Considerando inoltre che il Talmud è comunque una palestra per la logica e per la dialettica (i Gesuiti ne attingeranno e bene assai...). Il tutto innestato su una visione pessimistica imposta da una Dio che chiede sopportazione –e ce ne vuole-, un dio tutto sommato antipatico, capriccioso, arbitrario e vendicativo al quale sottostare al pari di una Legge ineluttabile dalla quale si può sfuggire solo con la capacità di conciliare l’inconciliabile. (“Rabbino, si può fumare mentre si legge il Talmud?” - “No”. “Rabbino, si può leggere il Talmud mentre si fuma?” - “Certo, ogni momento è benedetto per leggere il Talmud”...). Sì, anche il nostro umorismo, assurdo o crudele nasce da lì (consiglio L’ebreo che ride di Moni Ovadia). Come la psicanalisi, il senso di colpa e l’abilità nel raccontare storie. D’altronde è pur vero che la Storia più antica del mondo -che l’occidente ha abbracciato per cementare la propria identità- è una storia di ebrei, sarebbe bene ricordarselo ogni tanto. Basta poi leggere la biografia dei migliori pensatori, scrittori, comici, sceneggiatori e registi della prima e gloriosa Hollywood, per vedere da dove vengono (manco uno è americano). Ecco quindi che la bellissima saga de La famiglia Singer, dopo averla “scoperta”, ci si chiede dove fosse nascosta. Doveroso ringraziare, con un “Grazie” grosso come una casa, Tre editori che ce l’ha servita per bene con tanto di illustrazioni di Hazel Karr, pittrice figlia dell’autore, la quale a tratti e nei tratti ci ricorda il francese Marc Chagall. Quel Marc Chagall che poi invece si chiamava Moishe Segal ed era nato in uno sthetl in Bielorussia.