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La felicità dei mobilifici

La felicità dei mobilifici

Essere vissuto nella DDR (la vecchia Germania Est) a cavallo fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 significava avere l’illusione di poter cambiare radicalmente tutto, senza capire che ci si apprestava a diventare davvero schiavi di un altro totalitarismo, quello del mercato capitalista. Ingo Schulze ricorda che tutti potevano trovare un lavoro, ma anche studiare, tutti potevano fare l’Università perché sarebbe stato poi compito dell’Università trovare un lavoro a tutti i suoi neolaureati: questa è stata la sorte di Ingo, che terminati gli studi di lettere classiche all’Università di Jena non ha avuto che l’imbarazzo della scelta, diventando direttore culturale del Teatro di Stato di Altenburg, con uno stipendio di poco inferiore a quello di un primario dell’ospedale. E da lì una serie di altri lavori che gli hanno sempre permesso di vivere bene e di far fruttare la sua formazione. Con l’apertura delle frontiere della Germania Est e la caduta della repubblica filocomunista, soffia quell’effimero vento di libertà che solo apparentemente sembra portare benessere, ma alla fine introduce un sistema di valori che peggiora la vita dei cittadini della ex DDR, rendendoli schiavi del denaro e del mercato. Il passaggio dalle due Germanie è ben rappresentato da una barzelletta sovietica, quella dei due contadini che di fronte ad un fiume preferiscono attraversarlo a piedi guadandolo con il carretto sulle spalle piuttosto che arrischiarsi ad attraversare il comodo ponte davanti ai loro occhi. Non si fidano. Il ponte infatti è un inganno pericoloso: suggerisce la strada più rapida e sicura, quella senza fatica, ma nasconde insidie. La dimostrazione la fornisce l’avventuriero dalla macchina lussuosa che sfrecciando col suo bolide prova ad attraversarlo con il risultato di farlo crollare e precipitare nel letto del fiume. I due contadini, che nel frattempo hanno acceso una sigaretta e stanno aspettando di asciugarsi per poi riprendere il cammino, non possono che commentare: “Viaggia, viaggia e poi il ponte non lo vedi!”…

I tre brevi saggi di Ingo Schulze, una delle voci più note ed importanti della letteratura e della cultura in lingua tedesca, tradotti da Zangrando e pubblicati da Marietti 1820, sono il frutto di alcuni interventi ed un’intervista in occasione della partecipazione dello scrittore tedesco al convegno su “Quale bellezza salverà il mondo” tenuto nell’aprile del 2014 presso la Libera Università di Bolzano ed organizzati dal Centro Pace. Ingo Schulze è nato nella ex Germania dell’Est, quindi è testimone diretto: il suo sguardo è sempre molto lucido, critico, ma anche indipendente; la sua critica punta infatti il conformismo delle opinioni dominanti, come dimostrano gli innumerevoli aneddoti di episodi vissuti in quel biennio straordinario, quello del 1989-90, che non è stato soltanto luce, ma anche ombre. Schulze non si schiera apertamente, racconta e commenta quello che gli è accaduto, quello che conosce direttamente e con la stessa schiettezza, senza un attacco diretto, con l’interesse ad indagare come è destinato a cambiare il concetto di “normalità”, quella normalità stravolta dall’unione fra le due Germanie che segna profondamente in modo differenti abitudini e quotidianità, e che è destinata a cambiare modo di pensare e vivere di chi sta per vivere l’illusione della liberazione. Ma c’è anche un forte interesse nelle sue pagine nell’investigare il ruolo della letteratura e della cultura, che non possono rimanere indifferenti, tuttavia non dovrebbe essere ancillare a questa o quella propaganda. Il libro è snello, di facile lettura, denso, ma piacevolmente fruibile per l’onestà intellettuale che segnano le singole parole.