
Francis – detto anche Franny o Frannie – si è ritirato a vivere in campagna per fuggire dalla città, dagli uomini e dalle donne che la abitano e che, secondo lui, mai si riusciranno a conoscere realmente. Quella in cui lui ora vive non è la sua casa, ma una tana, un vero e proprio rifugio in cui l’unica persona che accoglie è sua sorella Zooey, che lui chiama semplicemente Zoe. Non solo i loro veri nomi, Franny e Zoe. Sua sorella li ha rubati a uno scrittore che le piace tanto: Salinger. Lui non l’ha mai letto, perché per principio non legge autori americani. Dicevamo che lui adora il fatto che la sorella venga a visitarlo nella sua tana. È sempre lei a raggiungerlo, perché lei si muove e viaggia. Lui no. Da tempo lui sta provando a scrivere un racconto, anche se non ha mai pubblicato nulla, perché gelosissimo di qualsiasi cosa scriva. Sua sorella, anche in questo caso, lo capisce e lo asseconda. Addirittura, si impegna a conservare tutti i suoi scritti e a darli alla stampa solo quando lui sarà morto. Franny, infatti, desidera essere uno scrittore postumo. Zoe ha anche promesso al fratello di lavorare per entrambi per tutto il tempo in cui lui sarà impegnato con la scrittura. Lei fa l’interprete simultanea ed è bravissima. Guadagna parecchio, tanto da riuscire a mantenere entrambi. Franny e Zoe, quindi, lavorano con le parole: lui scrive e lei parla. Lei parla un sacco di lingue, lui scrive parole e capisce che gli scrittori hanno il compito di farne provare la gioia, anche quando il trovarle genera sofferenza e perciò si finisce spesso per cambiare i nomi delle cose, anche il proprio stesso nome. Franny sottolinea spesso questo concetto alla sorella, portandole l’esempio di due fantastiche autrici. Si tratta di due figure diversissime, ma entrambe nomadi e randagie: Karen Blixen – autrice danese che, dopo aver vagato tra diverse scelte, ha scelto come nome d’arte Isak Dinesen e come terra d’elezione l’Africa – e Kathleen Mansfield Beauchamp che, dopo aver vagato tra diversi pseudonimi, ha scelto di chiamarsi Katherine Mansfield, ha abbandonato la Nuova Zelanda e ha vagato tra Regno Unito, Francia e Italia....
Virginia Woolf è sempre stata gelosa dello stile moderno ed estremamente raffinato della scrittrice di origine neozelandese Katherine Mansfield e, per tenerlo d’occhio, aveva deciso di pubblicarne gli scritti con la casa editrice fondata insieme al marito Leonard. La Woolf ci aveva visto lungo: K.M. – così amava firmarsi l’autrice, per non perdere tempo e dedicarsi a ciò che veramente desiderava fare – riesce a infondere in ogni suo scritto riflessioni profonde, un’allegria contagiosa, il piacere delle riflessioni e quello della leggerezza. La Mansfield è un’autrice a tutto tondo che, seppure abbia avuto un tempo limitato per mostrare appieno il proprio talento – la tubercolosi l’ha stroncata a trentacinque anni – non si è mai fermata, ha osteggiato la malattia scrivendo fino alla fine dei suoi giorni e regalando ai suoi lettori pagine traboccanti di luce. Per chi non la conoscesse e per chi, invece, ne apprezzasse il valore e volesse celebrarlo una volta ancora, Nadia Fusini – traduttrice, scrittrice e critica letteraria – fa dono al lettore di una biografia romanzata (ma non solo) che, attraverso i dialoghi di un fratello e una sorella, ripercorre la vita dell’artista neozelandese e ne mostra gli aspetti più interessanti. Un racconto nel racconto, quindi: una sorta di scatole cinesi in cui i due fratelli, collocati in un luogo di campagna in cui regna la pace e la beatitudine, approfondiscono alcune tematiche coinvolgendo una terza protagonista, che è appunto la Mansfield. In occasione del centenario della morte di una scrittrice che ha lasciato pagine memorabili, in cui si trovano la forza e la fragilità che da sempre hanno abitato la sua persona, Feltrinelli e la Fusini permettono al lettore di celebrare la grandezza di un’artista capace di raccontare e incarnare allo stesso tempo la libertà. Parliamo di una donna che di sé ha scritto: “Voglio essere tutto ciò che sono capace di diventare”. E c’è riuscita.