Salta al contenuto principale

La figlia unica

La figlia unica

Laura, da poco tornata in Messico, ha affittato un appartamento per finire la sua tesi di dottorato. I suoi nuovi vicini di casa, una donna e un bambino, la infastidiscono oltre a turbarla molto, perché il bambino tornando da scuola verso le due del pomeriggio, quasi ogni giorno urla in maniera esagerata contro la madre, lamentandosi del cibo preparatogli. Le grida sono accompagnate da insulti e parolacce, porte sbattute e oggetti lanciati contro il muro. Una situazione davvero difficile per Laura, che ha bisogno di calma per finire il suo lavoro e anche perché i bambini non le sono mai piaciuti. Ha sempre pensato che dover sopportare nove mesi di gravidanza, altri di allattamento, insonnie e problemi da affrontare durante l’adolescenza dell’ipotetico figlio siano un fardello troppo pesante da portare. Alina, la sua amica più cara, conosciuta all’età di vent’anni, ha invece fatto una scelta diversa, ha conosciuto Aurelio e, dopo vari tentativi per rimanere incinta (fecondazione in vitro e impianto dell’ovulo compresi) finalmente ci è riuscita. È iniziato così lo stravolgimento della vita di Alina, fra rinunce ed esami di controllo per verificare lo stato di salute di quella che si scoprirà essere una bambina che alla nascita prenderà il nome di Ines. I mesi successivi procedono tranquilli e mentre Alina è proiettata verso il suo prossimo e roseo futuro di madre, Laura continua con la sua tesi e le tensioni provocate da Nico, il bambino sempre più turbolento e la madre Doris che sembra non essere capace di arginare il figlio. Ma il dolore è dietro l’angolo e Laura, che diventerà l’ombra dell’amica negli ultimi mesi della gravidanza per sostenerla in un momento doloroso e difficile, si troverà a sviluppare un forte senso di protezione non solo nei confronti di Alina ma anche di Ines, Nico e Doris...

Si può essere madri senza avere figli? Questa è la domanda che attraversa il bel libro di Guadalupe Nettel. L’autrice messicana con questo romanzo sembra chiedersi quanti modi ci sono per essere madre e, intrecciando la vita di queste tre donne, prova a raccontare tutte le sfumature della maternità. Maternità che può essere accolta, negata, sfuggita, piena di dubbi o sensi di colpa, dolori ma anche gioie. La sua scrittura in apparenza molto semplice ma lucida e delicata funge da bisturi per tagliar via ogni pregiudizio. La protagonista ci indica la strada verso la cura che deve essere declinata in forme diverse, la tenacia e l’accettazione dell’impotenza di fronte alla malattia ma anche la cura che si dedica ai figli degli altri esattamente come fa il piccione che cova l’uovo deposto nel nido da un’altra specie di uccello (usati come metafora delle relazioni umane). Il romanzo affronta temi molto delicati quali la disabilità, dando voce a chi spesso in situazioni così tragiche non ne ha, scavando nell’unicità di ognuno di noi. La scrittrice, che vive e lavora come insegnante e traduttrice a Barcellona, ha vinto nel 2014 il prestigioso Premio Herralde con il romanzo Quando finisce l’inverno. La foto è di Mely Avila pubblicata su licenza Creative Commons.