
Enrico Franceschini arriva a Mosca nell’estate del 1990 come corrispondente de «la Repubblica», il quotidiano diretto da Eugenio Scalfari, per sostituire Ezio Mauro. Deve raccontare la sfida di Gorbaciov e della perestrojka giorno per giorno. Invece assiste al graduale collasso dell’Unione Sovietica fino alla fine dell’impero, nel dicembre 1991. I suoi reportage da un capo all’altro della superpotenza comunista sono la testimonianza di un evento straordinario che ha cambiato la storia. Ha portato dagli Stati Uniti, dove lavorava, i libri di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo e di Joseph Roth Viaggio in Russia, anche loro testimoni di un cambiamento. Si parte dai benzinai russi a corto di carburante perché il petrolio viene esportato a seguito della crisi del Golfo. I dissidi su questo argomento, il degrado dei pozzi petroliferi siberiani, del gasdotto degli Urali, i camion fermi con le derrate alimentari perché senza benzina fotografano la situazione. Austerità estrema per i cittadini. Gli articoli scorrono veloci, presentando le contraddizioni dell’URSS, del PCUS, troppo lontani dalla misera realtà del popolo. Nascono leggi sulla libertà di stampa e sul pluralismo, Gorbaciov avanza a piccoli passi verso una nuova crescita economica. La sua proposta è di un’economia come quella della Svezia, capitalista certo, ma con un forte stato sociale, difficilmente applicabile però al popolo russo. I miti vengono infranti, dopo Breznev e Stalin tocca anche a Lenin. Le sue statue vengono demolite e la sua salma rischia di essere tolta dal mausoleo, affinché il suo spirito non aleggi più sulla Piazza Rossa. Mosca nel 1990, durante il difficile passaggio da Unione Sovietica a Federazione Russa, è allo sfascio. Il tessuto sociale sfilacciato, la gioventù è vittima della droga dilagante e il disinteresse verso la politica URSS è totale. È la vigilia di Natale del 1991 e tutto sta per finire. La valigetta con i codici nucleari è nelle mani di Boris Eltsin. Gorbaciov è un grande personaggio, un riformatore e per questo condannato ad essere solo. Vuole portare un po’ di democrazia in modo pacifico all’URSS. Anche prima della glasnost e la conseguente libertà di stampa, circolavano barzellette, aneddoti, gli operai dicevano: “Noi facciamo finta di lavorare e lo stato fa finta di pagarci”. Lo stato è messo in ridicolo e delegittimato. La gente ruba nei ristoranti e nelle fabbriche per sopravvivere alla dura crisi. Si ruba dappertutto tranne che nel lotto di terra che i russi ricevono dallo stato. Le piccole e preziose dacie senza acqua corrente né luce fuori Mosca o San Pietroburgo, dove piantare patate e cetrioli, per poter sfamare la famiglia d’inverno. Entrare in Russia è un po’ come visitare le pagine di Alice attraverso lo specchio, solo che le meraviglie non ci sono. Ma non è tutto così brutto. Molte sono le cose che fanno amare la Russia: il rispetto per la poesia, l’umanità dei russi incontrati a ogni passo e la capacità di andare avanti nonostante tutto. Senza Gorbaciov non sapremo se e quando il muro di Berlino sarebbe caduto, o se non ci sarebbero stati altri processi, scosse, o persino un conflitto. Gorbaciov si rifiuta di usare la forza questo è il suo merito per la democratizzazione dell’Europa Orientale. L’URSS prima di Gorbaciov era una grande prigione si usciva solo con un permesso, o se si veniva invitati, solitamente da un altro stato comunista, lui pianta il seme della democrazia...
La fine dell’impero è un libro costruito di tanti capitoli in ordine cronologico. Incalzano, scandiscono i mesi che mancano alla fine dell’URSS. Enrico Franceschini ha voluto ripubblicare gli stessi articoli, scritti con l’occhio fresco di allora, e non un memoir di ricordi scritti dopo. Una serie di reportage, interviste e testimonianze uniche. È l’URSS vista dagli occhi del cronista degli anni ’90. La conoscenza e la consapevolezza del giornalista che Franceschini è diventato la troviamo nel prologo e nell’epilogo scritti oggi. Servono a chiarire questa fase storica, non come se fosse distante, ma permettendo all’immediatezza delle parole del cronista di far capire un Paese in cambiamento. In copertina c’è il Cremlino con la bandiera rossa con falce e martello che di lì a poco sarebbe stata ammainata per sempre. Non c’era più Stalin e il terrore che incuteva, metodo usato per portare il popolo dall’aratro all’atomica. Però che poteva immaginare che tutto avvenisse così in fretta. L’URSS era sempre la nazione più grande del mondo, 1⁄4 delle terre emerse, e anche la geografia è importante. Finiva un’epoca: la contrapposizione USA/URSS, la corsa allo spazio, il medagliere olimpico, l’Unione Sovietica era l’unico paese in grado di distruggere militarmente gli americani. Il Nobel a Gorbaciov, per il disarmo e per aver permesso la democratizzazione dell’Europa Orientale, dimostra che anche un uomo solo può fare la differenza. Il libro è utile anche pensando alla Russia di oggi. Putin è da venti anni al potere e lo potrebbe mantenere per altri venti, cambiando di nuovo la costituzione. Il sentiero aperto da Gorbaciov non si è chiuso nemmeno in questi anni di autocrazia putiniana. Nella Russia di oggi ci sono più spazi di libertà di quanti ce ne siano in Cina. Qualche giornale libero esiste e internet non ha ancora il bavaglio. Il dissidente Naval’nyj, nonostante i tentativi di eliminarlo, è andato in giro e ci sono dimostrazioni pubbliche di solidarietà per lui. L’anima russa che cos’è? È sempre stata vista dagli slavofoni come la dimostrazione di una diversità della Russia rispetto all’Europa. Nell’anima russa c’è il bene e il male, ma di certo è un’anima europea, che viene dalla civiltà e dalla cultura cristiana. Non nel senso strettamente religioso, anche se Gorbaciov, tutte le volte che Franceschini lo ha intervistato, come intercalare usava “Slava Bogu”, Grazie a Dio. In epigrafe “Vremia i terpenie” (Tempo e pazienza) da Guerra e pace di Lev Tolstoj. Quello che dice il generale Kutuzov agli ufficiali quando Napoleone invade la Russia, con il tempo e la pazienza lo rimanderemo a casa, non si può affrontare in campo aperto. Con il tempo e la pazienza anche la Russia riuscirà a tornare a fare parte della civiltà europea a cui appartiene, a quella casa comune europea auspicata da Gorbaciov.