
Il bambino sogna spesso di treni che fischiano “come una tempesta d’autunno” e di tram che vengono giù per la discesa come giovani stelle cadenti. Vive con la famiglia in una antica casa circondata da un grande giardino: suo padre ci si è costruito una sorta di eremo per stare solo nel quale la moglie lo raggiunge di notte, senza fare rumore. In casa dormono quindi solo il bambino e la nonna, che soffre di nevralgie croniche e non fa altro che lamentarsi e prendere medicine. Alla morte della nonna, nella sua vecchia cassapanca cinese vengono ritrovati l’antico diario di Dama Hiroaki, un’antenata della famiglia, e una Bibbia avvolta nel broccato e custodita in un cofanetto di lacca intarsiato di madreperla… Si dice che, all’arrivo dell’autunno, nel lago di Shiga si veda l’isola del dolore, “un’isola ricoperta di pini e di nebbia, dove fluttua indistinta l’immagine dell’antica capitale in fiore”. Molti poeti si recano in pellegrinaggio in quel luogo magico per intravedere con gli occhi velati di pianto l’immagine dell’antica capitale avvolta nei colori dell’alba. Tanti, tanti anni prima però in quella città viveva Haruje, figlio di un guerriero dalla grande abilità poetica, Nobuie. Una delle famiglie della casata imperiale aveva bandito una gara di poesia avente per tema “la tristezza per la caduta dei fiori di ciliegio”, e Haruje in quell’occasione passò una notte intera a corteggiare un’ancella senza sapere di averla già incontrata e colpita quando era solo una bambina… La lunga malattia che l’ha colpita in tenera età ha reso le gambe di Yasuko deboli e magre. Ogni mattina, afferrandosi alle mani dell’infermiera, si sforza di camminare un po’ e un giorno – durante una delle sue faticose e lente passeggiate – incontra un’altra infermiera e un altro bambino che cammina a fatica. A Yasuko sembra che fra lei e quel bambino, malgrado non si siano mai rivolti la parola, quelle coincidenze tendano un filo, evochino “una misteriosa felicità, quella felicità che nasce spesso fra i bambini come un patto silenzioso, come un rito segreto”…
“Immaginare un racconto, la gioia di scriverlo. Il primo piacere che ho imparato dalla vita è stato questo. Godere di questa dolcezza, molto prima di conoscere l’amarezza della letteratura, ha determinato nel bene e nel male tutta la mia natura umana e artistica”: così scrisse una volta Yukio Mishima per mettere in evidenza come si fosse sentito praticamente da sempre uno scrittore, come fossero sovrapponibili nel suo caso vita e scrittura. Una delle prove più inconfutabili che questa affermazione era tutt’altro che velleitaria si cela nell’antologia La foresta in fiore, uscita nel 1944. Racconti giovanili – tra i quali quello che dà il titolo alla raccolta, il primo mai scritto e pubblicato, che risale al 1941, quando Mishima (che si chiamava ancora Hiraoka Kimitake e proprio in questa occasione inaugurò il suo fortunato pseudonimo) aveva solo diciassette anni e frequentava il liceo del Gakushūin, la Scuola dei Pari di Tokyo, e che uscì sulla rivista “Bungei Bunka” su segnalazione del professore di Lettere Shimizu Fumio. Racconti di un ragazzo – ma che vendono in poche settimane quattromila copie, capaci come erano di dare corpo agli ideali politici, ai sentimenti popolari, al gusto letterario, allo zeitgeist del Giappone dei primi anni della Seconda guerra mondiale, prima della disfatta e dell’apocalisse nucleare. Racconti acerbi – ma già paradigmatici, già perfettamente in linea con il canone estetico e letterario del Mishima della maturità, già immersi nelle atmosfere che troveremo nei romanzi successivi, solo trasfigurate da un romanticismo, da un narcisismo, da una foga, da una visione del mondo tutte adolescenziali.