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La formula perfetta

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El Pueblo de los Ángeles (abbreviazione per: El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de los Ángeles) era stato istituito solo nel 1781: all’epoca di Mozart e Samuel Johnson “si poteva camminare per giorni e giorni nella California meridionale senza incontrare nemmeno un indiano vestito di stracci o un missionario spagnolo che faceva la siesta”. E a metà del XIX secolo, “quando Londra era famosa per Dickens, le grandi conquiste dell’epoca vittoriana e i progetti per l’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta l’anno successivo, l’intero circondario di Los Angeles - dall’odierna Malibu a Huntington Beach, fino all’entroterra di Azusa - contava già circa duemilacinquecento abitanti”. Qualche anno dopo, all’epoca in cui gli italiani emigravano in massa negli Stati Uniti, fra il 1900 e il 1910, Hollywood rappresentava il quartiere dell’aristocrazia di Los Angeles, della classe dirigente, ovverosia la generazione che aveva in poco tempo costruito la città e i sobborghi, e che di certo non aveva alcuna voglia di cedere il posto alla gente del cinema. “Hollywood era un paesino” - scriveva nel 1919 la sceneggiatrice Lenore Coffee. Proprio negli anni che precedettero la Grande Guerra un tal Lazar Meier decise di cambiare il proprio nome in Louis B. Mayer e tentare di sbarcare il lunario col business dei “nickelodeon” (gli antesignani delle odierne sale cinematografiche): ed è proprio il caso di dire che ci aveva visto giusto: in pochi anni Mayer divenne l’uomo più pagato d’America e nel 1924 fondò insieme al socio Marcus Loew la Metro Goldwyn-Mayer...

Questo lungo scritto del critico cinematografico David Thomson risale al 2004. L’autore riconduce la genesi del suo lavoro a un episodio dell’anno precedente: una conversazione pubblica con lo sceneggiatore Robert Towne, nel marzo del 2003, per un ciclo di incontri intitolato “Da Viale del tramonto a Mulholland Drive: Los Angeles nell’immaginario cinematografico”. L’incontro con Towne è dunque lo spunto da cui prende corpo La formula perfetta: partendo dall’analisi di Chinatown, il noir del 1974 diretto da Roman Polański per cui Robert Towne scrisse la sceneggiatura, Thomson ci propone una dettagliata storia di Hollywood, dai primi anni del ‘900 fino agli albori del nuovo millennio. Il titolo rende omaggio a Francis Scott Fitzgerald e al romanzo che stava scrivendo quando morì nel dicembre del 1940, Gli ultimi fuochi. Hollywood viene qui raccontata come se si trattasse di una grande azienda: invano il lettore andrà cercando fra le pagine del libro quegli aspetti goliardici che in genere si creda debbano caratterizzare una narrazione storica sulla “fabbrica dei sogni” americana: piuttosto potrà capitare di doversi confrontare con lunghi resoconti di contabilità e via dicendo. La storia di Hollywood scorre parallela a quella del “secolo americano”, e il libro di Thomson si sofferma anche sulle influenze di Hollywood sulla politica americana - e viceversa. Un lavoro monumentale, che però dubitiamo possa raggiungere una vasta platea di lettori. Nato a Londra nel 1941, David Thomson è membro del comitato selezionatore del New York Film Festival.