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La forza della gioia

La forza della gioia

Seneca affermava: “L’effetto della saggezza è una gioia continua”. Resta il problema, spesso insormontabile, di accedere alla saggezza. Spinoza, Nietzsche e Bergson hanno posto la gioia al centro della loro speculazione filosofica, a dispetto di molti altri filosofi che si sono concentrati sulla felicità e il piacere, concetti confinanti ma distinti. Il piacere deriva dalla soddisfazione di un bisogno, proprio per questo non è una condizione durevole, come quella che coincide invece con il concetto di felicità. Alla base della felicità è comunque innegabile che vi sia il piacere, ma, come diceva Epicuro, bisogna imparare a moderarne la ricerca per evitare la dissolutezza; un precursore del “less is more” insomma, nuovo filone di pensiero che sollecita alla sobrietà per contrastare l’accumulo impoverente di inutili beni materiali. La gioia è invece un’esplosione imprevedibile, coinvolge l’essere in ogni sua fibra, ma anch’essa ha natura estemporanea, pur essendo aspirazione dell’uomo renderla permanente. Il filosofo della gioia per eccellenza, colui che per primo ne dà un’autentica definizione filosofica, considerandola accrescimento della potenza di esistere, è Spinoza. l’Etica di Spinoza, abbastanza complessa, definisce le gioie in attive e passive, solo le prime conducono all’accrescimento dell’essere, in palio c’è sempre la beatitudine o gioia permanente, cui si accede dopo l’immane fatica di essersi liberati dalla servitù delle passioni, con uno sforzo di discernimento di ciò che è bene per ogni singolo individuo. Nietzsche, anche se in modo meno sistematico, arriva alle stesse conclusioni, considerando la gioia permanente un punto di approdo dopo un lavoro su di sé, che dovrebbe consentire un totale assenso alla vita, “amor fati”, diceva, inclusi gli aspetti più dolorosi appunto. Bergson, invece, nel suo capolavoro L’evoluzione creatrice, considera la gioia intrinsecamente legata alla creazione: quando la vita realizza ciò per cui è fatta si raggiunge la dimensione di gioia. Ma la disamina degli autori che si sono interrogati sull’annosa questione spazia fino al Buddhismo, lambendo perfino Induismo e Cristianesimo; di sicuro, introduce alla gioia della lettura chi, pagina dopo pagina, ha la pazienza di seguire le argomentazioni sviscerate lasciandosi condurre fino all’agognato traguardo: essere pronti ad accogliere la gioia quando inaspettatamente busserà alla nostra porta…

La forza della gioia è l’ultimo saggio di Frédéric Lenoir, filosofo, sociologo, docente universitario, curatore di trasmissioni culturali per la televisione francese; il quale si interroga su come raggiungere la gioia in un momento di grande infelicità globale legata ai disastri umani, climatici, politici di cui siamo testimoni annichiliti. Il pregio ulteriore del libro, oltre al luminoso argomento, che rifulge in cotanta cupezza, è lo stile divulgativo, sobrio, felicemente esente da contorsionismi intellettuali che ne avrebbero fatto un mattone. Il professor Lenoir conquista l’interesse del lettore rendendolo partecipe della propria ricerca filosofica, là dove prescinde dalla mera speculazione accademica divenendo ricerca esistenziale pura, iniziata in giovane età, quando si reca in India a lavorare in un lebbrosario resistendo all’imperio della spensieratezza e dell’eros, che lo avrebbe condotto in ben altri luoghi. Lì si dedica ai moribondi scoprendo la gioia misericordiosa di accompagnarli nel trapasso offrendo loro semplicemente conforto, compartecipazione, carezze. Altrettanto intensa è l’esperienza in un monastero durata tre anni, dove approfondisce la conoscenza di sé e del cammino che dovrà intraprendere per riconnettersi alla sua più autentica vocazione, non quella monastica come pensava. Oggi il nostro autore pratica yoga, meditazione, arti marziali, e da come si racconta, pare aver raggiunto, anche grazie ad un percorso psicoanalitico - non ha lasciato proprio niente al caso - la famosa saggezza, che Seneca considerava porta d’accesso alla gioia duratura. Vivere sulla propria pelle la tensione esistenziale verso un obiettivo elevatissimo, ben a fuoco nel percorso cognitivo ma sfuggente e difficile da raggiungere nella concretezza dei limiti umani, non è cosa da poco, e il lettore lo apprezza, vi si appassiona, con la voglia crescente di coltivare la gioia, di riscoprire quella primordiale ‒ a dispetto della più frequentata gioia consumistica che intasa gli armadi svuotando anima e portafogli ‒ e magari anche di approfondire la figura di qualche filosofo trascurato al liceo, molto più comprensibile e accattivante in questo saggio. Consigliatissimo agli insoddisfatti cronici, che tutto hanno e che del di più si lamentano pure.