
Mara Kaki lavora nell’Isola dei pazzi, ovvero l’Istituto psichiatrico di San Clemente a Venezia. È una psicologa e sta scrivendo una tesi sulle lettere d’amore dei grandi scrittori, soprattutto le interessano quegli epistolari attraverso i quali si sono consumati amori impossibili. A suggerirle l’ispirazione per questa ricerca approfondita sono stati i messaggi che uno dei quattordici pazienti dell’Istituto continua ad inviarle. Mara ha bisogno di una guida in questo percorso e sceglie di scrivere a Sébastien Cassandre, un anziano professore belga che inizialmente non le risponde. Presto però tra i due comincia uno scambio, rigorosamente cartaceo, nutrito quindi (tra le altre cose) dall’attesa della risposta reciproca, che ben presto evolve in un rapporto complesso, sofisticato, colto, passionale, assolutamente erotico, fatto di provocazioni e piccole sfide. Eppure rigorosamente platonico, perché “l’atto d’amore è sostituito dall’atto di scrittura”. Sarà proprio così? Mara e Sébastien si guarderanno mai negli occhi? Davvero basterà loro sovrapporre le lettere reciproche per sentire l’inchiostro mescolarsi e le mani sfiorarsi attraverso la carta?
Un libro bellissimo. Sophie Buyse, psicologa e sessuologa, belga di madre veneziana (e non sono solo queste le somiglianze con Mara), scrive un romanzo epistolare che mantiene tutto il fascino di questo genere un po’ démodé, rinnovandolo profondamente. La grafomane, però, è molto di più. È un romanzo sulle parole, sul potere sconfinato della parola scritta, capace di toccare corde profonde, di svelare mondi interiori altrimenti sepolti; la lettera, come il diario, permette di ignorare le resistenze del pudore e della razionalità. Come ha detto la Buyse, la lettera è come uno specchio, un atto di autoerotismo, una seduta di psicanalisi che svela parti scabrose di sé. Difficile dire in breve delle molte riflessioni che la scrittura elegante e raffinata di questa autrice suggerisce; tante le parole – appunto – che al lettore viene spontaneo segnare per ricordarle meglio. A sottolineare come una storia simile, in una tensione crescente, sia quasi sospesa tra desiderio e realtà, le atmosfere della sempre fascinosa Venezia (morbosa e sensuale come le si addice) e della passionalità algida del nord Europa si fondono nel mondo dai confini sfumati della malattia mentale, ma anche solo dell’ossessione d’amore, del desiderio spinto al parossismo, dell’erotico sofisticato. Avrebbero tanto da riflettere i parvenu dei successi editoriali degli ultimi anni: se leggessero questo libro scoprirebbero per prima cosa che è l’abilità nell’uso delle parole, anche solo suggerite, ad ottenere gli effetti più devastanti e sconvolgenti. L’esplicito spesso non serve, anzi. Una nota anche per la copertina, essenziale, pulitissima e “forte” come l’immagine ritratta di età neolitica, conservata in Svezia, del “bacio più antico del mondo” come ha spiegato ancora la Buyse. Ci si può innamorare con le parole?