
“Maometto era un uomo abbastanza gracile, piuttosto emotivo e nervoso, generoso ma, al bisogno, violento e implacabile”. Maometto nasce nel VI secolo d.C. da Abd Allah e Amina, del clan Banu Zuhra. Sino al 610 d.C. Maometto si dedica con successo ad attività commerciali, così come il padre e lo zio, tanto da guadagnarsi l’appellativo di al-Amin, il fidato o l’affidabile. I viaggi che tali attività comportano, influenzano notevolmente uno spirito connotato da un ardente fervore religioso e mistico – rilevante in tal senso il contatto con gli hanif, ossia i monoteisti preislamici del mondo arabo. Diviene abituale per il giovane Maometto indulgere in lunghi ritiri spirituali, e proprio in uno di questi momenti di profondo raccoglimento interiore, avviene la famigerata apparizione dell’arcangelo Gabriele. “Era nato dunque Maometto il Profeta e con esso l’alba di una nuova religione, destinata, come quella precedente di sei secoli, a cambiare il destino del mondo” … “Il 1683 è ancora ricordato a Vienna come l’”anno dei Turchi”, ma fu anche l’anno in cui, oltre al destino della capitale imperiale, si giocò quello dell’intera Europa”. Il sultano Mehmed IV non ha particolari interessi politici o espansionistici, egli è più interessato alla caccia, in compenso il superbo ed ambizioso Kara Mustafa, Gran Visir del sultano, accetta di buon grado il potere che, visto il disinteresse di Mehmed, ricade sulle sue spalle. Egli avvalla a qualsivoglia desiderio economico, l’ambizione di sottomettere Vienna, la capitale dell’impero Asburgico, scatenando una guerra in grado di coinvolgere tutte le principali potenze secentesche: l’impero Ottomano, il quale copriva un territorio vastissimo, il regno di Polonia, lo Stato Pontificio, e nientemeno che l’impero di Leopoldo I … Come un singolo uomo ed una mistica apparizione, sulla quale non si può che essere scettici, è stato in grado di provocare un tale dispiegamento di forze, stravolgimenti politici di tale rilevanza internazionale?
“Osservare il passato per comprendere il presente”. Come un tedioso mantra, un comandamento laico, questa frase viene quotidianamente, automaticamente ripetuta innumerevoli volte – talvolta a proposito, ma più spesso a sproposito. Per rendersi conto dell’effettiva veridicità di essa, è necessario studiarla la storia, leggerla sui testi di chi davvero l’ha osservata traendone spunti di riflessione, nuove prospettive di comprensione ed interpretazione sul presente. Il compianto Arrigo Petacco (1929 – 2018), pilastro del giornalismo italiano, con La guerra dei mille anni ed altre innumerevoli pubblicazioni, è in grado di farci sperimentare la fecondità, la concretezza della scienza storica. Alcuni tra i più rilevanti eventi d’attualità degli ultimi anni hanno come protagonista quell’originario conflitto politico-teologico che, sin dalla morte di Maometto si staglia sullo sfondo dei molteplici scenari geopolitici sorti a partire dal VI secolo d.C. Il confusionario ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e la conseguente conquista del paese ad opera delle milizie talebane, i recenti attentati terroristici rivendicati dallo Stato Islamico nelle principali città europee, casi di cronaca quali l’omicidio di Samman Abbas… In corrispondenza di tali accadimenti, un’opinione pubblica educata agli ideali, tipicamente occidentali, di democraticità e libertà non ha potuto far altro che redarguire la forma di governo teocratica di paesi come l’Iran, la dis-parità di genere imperante in tutto il mondo islamico, un ordinamento giuridico tutt’ora basato sulla shari’a. Tuttavia il rimprovero è infecondo, privo di utilità, se non si accompagna ad un’oggettiva disamina dei fatti, ad uno sguardo attento alle ragioni storiche da cui gli eventi sopra citati sono scaturiti. La guerra dei mille anni è dunque un testo imprescindibile per chiunque voglia andare oltre il rimprovero e comprendere a fondo il mondo che vediamo dipanarsi dinanzi ai nostri occhi.