
Da sempre gli umani hanno mostrato una certa passione per la guerra: da questo punto di vista, i tanti secoli trascorsi dai giorni in cui gli antenati della nostra civiltà - quella che lavora da remoto - vivevano invece nelle caverne o su palafitte in condizioni primitive, nutrendosi di carne cruda e via dicendo; da questo punto di vista - ovvero, per quanto riguarda la propensione alla guerra - i secoli trascorsi e il cosidetto progresso non hanno apportato praticamente alcuna novità. Secondo Domenico Mazzullo, la tendenza alla guerra insita negli umani non può essere estirpata, per il semplice fatto che è intrinseca alla conformazione psico-fisica degli umani stessi: che essi poi decidano di vivere nelle caverne oppure si dedichino al lavoro da remoto in un appartamento confortevole, poco cambia la faccenda. Già Freud sottolineava come gli istinti più profondi dell’uomo fossero in aperto contrasto con la civiltà, al punto che in alcune fasi l’umanità tende a tornare a una originaria condizione di barbarie. Paradossalmente, il fatto che la civiltà si sia evoluta, e che dunque ai nostri giorni si possa lavorare senza neppure uscire di casa, ha in realtà aggravato la questione: poiché mentre gli uomini primitivi guerreggiavano fra loro utilizzando rudimentali armamentari alla fin fine abbastanza innocui (quindi roba tipo bastoni e pietre, spade e scudi di bronzo), nella nostra epoca gli stati in guerra dispongono di armi nucleari in grado di arrecare danni ben più consistenti...
L’idea che sta alla base di questo libro è buona: Domenico Mazzullo, uno psichiatra romano, vuole divulgare, forte per così dire della sua esperienza medica, la teoria secondo cui la guerra sarebbe una manifestazione palese di impulsi profondi, inestirpabili poiché connessi alla struttura psichica stessa degli esseri umani. Lo fa proponendo una carrellata di riferimenti vari: dalle considerazioni estratte dal diario di Anne M. Frank, passando per l’esperimento carcerario di Philip Zimbardo dell’agosto 1971; riporta inoltre aneddoti riguardo ai giochi dei bambini, che prefigurerebbero le attività dell’età adulta; tira fuori l’Iliade di Omero (il poema sulla guerra per eccellenza) per poi arrivare a Erich Maria Remarque e al suo Niente di nuovo sul fronte occidentale; ci racconta della scienza e degli scienziati durante la guerra, e delle malattie che affliggono i combattenti. Eccetera. Ma il volume richiama purtroppo - forse volutamente - i famosi “Bignami”, ovvero quei libretti che contengono riassunti di argomenti vari e che in genere gli studenti (almeno quelli di una volta) utilizzano per ricordare più agevolmente una qualche disciplina. Un altro aspetto negativo di questo scritto - che purtroppo però è comune anche a molti altri - è secondo noi quella deplorevole tendenza dei nostri giorni per cui pare che non sia più il lettore a doversi adoperare per giungere al livello dell’autore, bensì pare che la regola si sia invertita: ovvero lo scrittore sembra impegnarsi per scendere al livello del lettore meno adeguato, in modo da accaparrarsi più lettori possibili: è una tendenza che ci pare diffusa nell’attuale panorama editoriale annacquato dal boom digitale, e a cui il dottor Domenico Mazzullo purtroppo non pare riuscire a sottrarsi.