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La ladra di frutta

La ladra di frutta

È un’assolata mattina di inizio agosto. Il cielo è terso e non vi è l’ombra di una sola nuvola. Da occidente spira un vento leggero che mitiga la temperatura e rende l’aria priva di umidità. Mentre è intento a camminare scalzo in giardino, l’uomo viene punto da un’ape sul dito di un piede. La puntura d’ape, la prima dell’anno, subita in una giornata di mezza estate, costituisce per lui un segnale. Quello, a suo avviso, di mettere in ordine alcuni oggetti, di infilare indumenti in un fagotto, di calzare gli scarponcini e di lasciare la «baia di nessuno», la casa in cui vive nei pressi di Parigi, per porsi in cammino verso quella di campagna nella regione semi disabitata della Piccardia. Prima di partire l’uomo decide di trattenersi ancora un po’ in giardino, seduto su di una seggiola con il cappello di paglia calcato sulla testa come “il giardiniere Vaillier” raffigurato nella tela di Paul Cézanne. A risvegliarlo dal torpore in cui era sprofondato, provvede il sussurro di una voce tanto dolce quando determinata che lo sprona a intraprendere il cammino. Si tratta della “ladra di frutta”, una ragazza misteriosa dai tratti leggendari, afflitta dalla smania di vagare e incline a scartare dalla strada maestra per sgraffignare» e assaporare i frutti coltivati in orti e frutteti. La giovane si trova in viaggio, in un tempo che risulta imprecisato, allo scopo di rintracciare la madre, misteriosamente scomparsa dopo aver abbandonato senza alcun preavviso il suo posto di dirigente in una banca. Il viaggio dei due protagonisti è dunque motivato da ragioni del tutto diverse. Ma la natura ha in serbo per loro opportunità e occasioni per fare in modo che i due viaggi si sovrappongano...

Peter Handke, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura 2019, fa parte di quella famiglia di scrittori che non lavora sul fantastico come mondo “altro” rispetto alla realtà quotidiana, ma predilige lo stretto varco dal quale, come d’incanto e senza una ragione apparente, si aprono dimensioni diverse, si diramano percorsi lontani dalla consuetudine, affiorano manifestazioni inattese. Lo scrittore austriaco, infatti, non guarda alla realtà come a qualcosa di concreto e immobile, ma come a qualcosa di proteiforme. Anche la sua ultima fatica editoriale offre al lettore la gradita opportunità di apprezzare tale particolarissima inclinazione, insieme con il delicato lirismo e alla fascinazione di una prosa che deve raccontare sì, ma anche sapersi lasciar andare, perdersi. Handke articola immagini e pensieri con ammirevole sapienza, fino a strutturarli in un tessuto narrativo alleggerito e reso soave dalla decorazione di inserti preziosi, dai segmenti di storie che germogliano da quella principale, da incantevoli ricami paesaggistici analiticamente reportati. Pagina dopo pagina egli denota una mirabile capacità descrittiva quasi inconsapevole, tale da incidere gli scenari naturali sulla pagina con la stessa precisione del pittore sulla tela portando la scrittura ad un alto grado di rifinitura stilistica. Nel libro non vi è tratteggiato il percorso lineare di una trama, ma si dipana la matassa dell’infaticabile ricerca di un equilibrio con la natura, di cui la misteriosa giovane ragazza risulta insieme tramite e parte integrante. Pur scritto senza fluire in un alveo autobiografico, esso ci consegna, attraverso il protagonista maschile, il ritratto di un uomo in cui è plausibile intuire connotati propri dello scrittore. Giunti all’ultima pagina, non si può non provare un autentico sentimento di gratitudine verso questo autore mai incline a fare carovana nella letteratura moderna, per averci offerto un’opera di rara intensità evocativa, profonda, coinvolgente, che non vorresti finisse mai e che si legge tutta d’un fiato, come un bicchiere di acqua fresca in un caldo giorno di agosto.