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La legge del silenzio

La legge del silenzio

L’orologio sul computer segna le 19.17. Non è ancora troppo tardi, pensa Lizzie, ma da quando lavora nello studio Joung & Crane il tempo passa senza che lei se ne accorga. Sta per alzarsi per andare a prendere una confezione di M&M’s nell’armadietto degli snack quando, prima la notifica di una mail sul cellulare, poi una chiamata sul telefono dell’ufficio - si tratterà sicuramente di suo marito Sam; sono in pochi ad avere quel numero - la trattiene. Solleva la cornetta e un disco automatico la invita ad accettare una chiamata a suo carico da un penitenziario dello Stato di New York. All’altro capo del filo una persona in carne e ossa si presenta: è Zach Grayson, un suo vecchio compagno di studi alla Penn Law, la facoltà di Giurisprudenza della Pennsylvania University. Sono anni che a Lizzie non capita di pensare al vecchio collega di studi, che non ha più incontrato dalla laurea. Davvero strano che la stia chiamando da un carcere. È sempre stato un tipo piuttosto mansueto. Lì dove si trova ora, al Rikers, rischia di essere sbranato a colazione dai compagni di cella. Zach è stato accusato di aggressione a pubblico ufficiale. È accaduto a casa sua, a Park Slope. La sera dell’arresto, quando è rincasato, piuttosto tardi - lui e la moglie hanno partecipato ad una festa a casa di vicini, ma se ne sono andati separati e la moglie lo ha preceduto - ha trovato Amanda in fondo alle scale, in una pozza di sangue. Ha chiamato il 911 e ha provato a farle la respirazione cardiopolmonare. Quando un agente, arrivato nel frattempo, ha provato ad allontanarlo dalla moglie, Zach si è divincolato e ha colpito un altro agente che si trovava lungo la traiettoria del suo braccio. Zach sa perfettamente che l’accusa di aggressione è una scusa. In realtà la polizia sospetta che l’uomo abbia ucciso la moglie. D’altra parte, si sa. In questi casi l’assassino è sempre il marito...

Un intricatissimo groviglio nel quale si finisce per rimanere intrappolati e liberarsene diventa davvero difficile. Il romanzo di Kimberly McCreight - una laurea in Legge presso la Pennsylvania University e diversi anni di lavoro presso alcuni studi legali di New York, prima di lasciare la professione e diventare scrittrice a tempo pieno - è un complicato gioco di specchi in cui ogni immagine rimanda ad una vita perfetta, che nasconde in realtà segreti pesanti e oscuri, finzioni e meschinità. Una telefonata inattesa, carica d’ansia, da parte di un ex collega di università spinge Lizzie - un passato come procuratore federale ed un presente presso un prestigioso studio di avvocati difensori - ad occuparsi del caso di Zach, arrestato per violenza a pubblico ufficiale, mentre in realtà la vera accusa con la quale lo si vuole incastrare è omicidio. La bellissima moglie Amanda, infatti, è stata uccisa. Un omicidio consumato in un quartiere in cui tutto pare perfetto, tutti si conoscono e ogni famiglia sembra solida e senza problemi. In realtà, come spesso accade, nulla è mai come sembra e Lizzie si trova ben presto a rovistare nel torbido di quelle vite da palcoscenico, che si nutrono di superficialità, di bugie, inganni e omissioni. Per scovare il vero colpevole sarà necessario andare oltre l’apparente felicità da tutti ostentata e scoprire i rancori e le invidie che si celano in ciascuno dei protagonisti, nessuno escluso. E per fare ciò, sarà necessario aggirare la legge del silenzio che sembra dominare l’intero quartiere. Senza la pretesa di aver scritto un capolavoro, la McCreight riesce a catturare l’interesse del lettore, ad aiutarlo a porre ogni tassello della vicenda al proprio posto e a condurlo verso un finale magari prevedibile, ma comunque interessante. Secondo quanto si può leggere sul sito dell’autrice, pare che Amazon stia producendo una serie, ispirata al romanzo, con Nicole Kidman nei panni della protagonista.