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La lettera di Newton

La lettera di Newton

Non riesce ancora a crederci di essere capitato in un luogo così diverso dalle sue aspettative. Quando aveva deciso di prendersi un po’ di tempo e di spazio solitario per terminare la biografia di Newton su cui lavorava da ormai 7 anni, tutto si immaginava tranne di finire in un grosso edificio ricoperto di edera, lugubre e con i muri scrostati. Casa Fern. Lui avrebbe dormito nella foresteria, alla fine del lungo viale. Una camera da letto, un salottino, una cucina e un bagno tutti abbastanza squallidi e con segni inequivocabili della presenza di topi. Un treno per ritornare in città sarebbe partito da lì a un’ora: se si sbrigava ce la poteva ancora fare... Cosa può trattenere un professore universitario, uno scrittore in cerca della rilassante atmosfera di campagna in un posto così tetro e inospitale? Donne? Donne. La bionda e giovane Ottilia, con il suo corpo indiscreto e ingombrante, che il giorno dopo si presenta alla foresteria con una scodella piena di uova? O la bruna e più matura Carlotta, imbottita di psicofarmaci e condannata a un destino di infelicità? Nel 1693 Newton scrisse una delirante lettera a John Locke, in preda a una vera e propria crisi esistenziale, a cinquant’anni la disillusione lo aveva raggiunto e desertificava tutto il suo mondo. Proprio su questa lettera e sul progressivo esaurirsi del Newton scienziato si arena la scrittura della biografia, in un gioco di specchi molto poco amalgamato fra Newton stesso e l’io narrante...

Bene. La sensazione nel portare a termine questo libro è che non sia un romanzo svolto, compiutamente espresso. Sembrerebbe piuttosto una traccia, una sinossi, ma tutto quello che poteva essere sviluppato viene lasciato incompiuto: l’intreccio è un abbozzo, i destini sospesi, le figure femminili che dovrebbero essere centrali, più o meno delineate ma mai finite. Lo stesso scarto fra apparenza e realtà, o la serie di equivoci per farla semplice, su cui John Banville (autore irlandese premiato nel 2005 con il Man Booker Prize per Il mare) cerca di costruire una debole trama si rivela privo di efficacia. Alla debolezza della struttura fa da contraltare uno stile piuttosto ricercato (“la rinnovata forza delle membra” voi lo direste mai? O “avevo solo la sensazione di una deriva laterale”?) che sbilancia ancora di più il romanzo sul versante formalista. Che sia anche questo lo specchio del romanzo biografico lasciato incompiuto dal protagonista della storia? Che sia tutto voluto? Illudiamoci di sì, giocherelliamo con questa buffa idea qui per non farci prendere dalla rabbia di aver letto un altro libro superfluo.