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La libertà

laliberta

Nelle più antiche leggende è scritto che gli uomini nascono in prigione e la prigione è la sola cosa che gli esseri umani conoscono. Vivendoci da sempre, hanno smesso di considerarla tale. Un pensiero che ha dominato per migliaia di anni ha spinto gli umani a creare civiltà, a fare guerre, erigere piramidi per ideare una realtà più reale del mondo. Hanno creato una musica tanto bella da far dimenticare ciò che manca e hanno cominciato a credere di essere liberi anche se non riuscivano a conciliare così tanto splendore con la miseria alla base della vita. Si sentivano ogni tanto delle frasi pronunciate da matti o poeti che sussurravano l’idea che gli uomini in realtà fossero dei prigionieri. Quelle frasi hanno sempre causato paura nelle persone e le autorità si sono trovate costrette a vietare tali idee pericolose, o a distorcerle. Si sarebbe potuto andare avanti per tanto tempo in questo modo se non fosse stato per un evento che arrivò a mettere in discussione quelle certezze ormai secolari. Un giorno un uomo in riva al lago, perso nelle proprie fantasticherie, si ritrovò in un posto sconosciuto. Quando tornò in sé raccontò quell’esperienza agli amici, che però la considerarono solo un vuoto di memoria. Una ragazza mentre leggeva uno degli antichi miti si ritrovò sulla riva di un fiume di luce. Questo posto non somigliava a nessun altro sulla Terra. Raccontò quell’esperienza ai genitori che dissero che di sicuro aveva sognato ad occhi aperti. Nessuno riferì ciò che era successo alle autorità ma da lì ebbe inizio l’era dell’inquietudine. Non molto tempo dopo, in una notte fredda e silenziosa, si udì un grido. Qualcuno era riuscito a scappare dalla prigione e stava annunciando la vita straordinaria che aveva scoperto. Nuove versioni del mito cominciarono a circolare fino a quando non si cominciò a sostenere che non era la Terra la prigione, ma il proprio corpo. Scoppiarono sommosse. Le autorità provarono a mettere a tacere quelle voci confiscando libri, imprigionando editori e librai, distruggendo ogni forma di stampa. Le nuove versioni del mito vennero bruciate nelle piazze e alla gente, pena la morte, venne proibito di leggerle non sapendo che fosse ormai troppo tardi. Cominciarono a circolare domande. Chi è il prigioniero? Questa comparve sui muri dei palazzi, nelle strade, sulle auto e sui cartelloni pubblicitari. Le autorità non poterono far altro che scovare e distruggere chi diffondeva quelle domande, grazie anche all’infiltrazione di spie fra il popolo. Un giorno in una casa gialla un bambino di nome Mirababa stava leggendo un libro ad un vecchio quando d’un tratto si fermò per chiedergli se era vero che esisteva un altro mondo. Il vecchio, dopo un lungo silenzio, gli disse che avrebbe dovuto fare un salto nell’ignoto e scoprire ciò che gli era stato nascosto. In un’altra casa Amalantis stava ascoltando Karnak, il suo innamorato, con poca attenzione. Questo stava parlando della sua bellezza, della sua grazia, dei suoi occhi ma Amalantis aveva una sensazione di vuoto. Giorni prima davanti allo specchio aveva scorto qualcuno che le faceva l’occhiolino e si era accorta che dentro di lei c’era qualcuno che non era lei, intrappolato nella sua faccia. La domanda che si fece fu l’inizio dei suoi guai poiché si era messa in testa che chiunque fosse, era prigioniero. Sapeva di non poterne parlare con nessuno e quando propose a Karnak di farlo, si udì bussare alla porta e tre uomini, senza dire una parola, la presero, la portarono in un furgone e sparirono mentre Karnak rimase impietrito a guardare la scena…

Due storie che si alternano in tempi e luoghi differenti: quella del piccolo Mirababa e quella del giovane Karnak, che si mette alla ricerca della amata Amalantis. Le vicende si snodano secondo le modalità di un romanzo distopico in una città del futuro non troppo diversa dal presente grazie ad una contrapposizione fra la vita degli antenati e quella nelle grandi città. La rivoluzione degli oppressori inizia dal linguaggio e Karnak, nel viaggio alla ricerca della sua amata, si accorge che gli uomini ridotti in schiavitù ma inconsapevoli parlano un linguaggio primitivo. Il piccolo Mirababa, in altro luogo e tempo, scopre il potere evocativo della parola dopo una serie di riti iniziatici; il vecchio bardo, che lo ha sempre guidato, muore e lui raccoglierà la sua eredità. In un crescendo rappresentativo della prigione, dalla casa alla foresta, dal paese alla città, dal mondo all'universo, si fa strada una riflessione. Su tutto aleggia la domanda “Chi è il prigioniero?”. L’autore, nato in Nigeria, trascorre l’infanzia a Londra per poi tornare nel suo paese d’origine proprio durante la guerra civile. In seguito viene condannato a morte per alcuni suoi scritti dovrà perciò fuggire di nuovo in Europa. La scrittura di Ben Okri è fantasia onirica come lui stesso afferma dicendo che persegue la logica del sogno, come mezzo per superare e svelare la realtà. Le sue opere, tradotte in ventisette lingue, hanno vinto numerosi premi letterari internazionali.