
Nell’estate del 1994, Teresa, moglie e madre di Città del Messico, abbandona la sua famiglia, uscendo di casa con la sua grande borsa che usa sempre e raccomandando ai figli di far leggere al loro padre la lettera indirizzata a lui che ha lasciato in camera da letto. Entrambi i suoi figli - Mariana, la maggiore e il piccolo di dieci anni - pensano che sia uscita per fare delle commissioni, al massimo per andare qualche giorno a sbrigare delle faccende altrove. Ma quando comprendono che Teresa non tornerà mai più, reagiscono ognuno a proprio modo. Il figlio più piccolo, in particolare, cerca di imparare a fare gli origami e a studiare la composizione biologica delle foglie, entrambe attività con cui prova ad arginare, invano, la solitudine improvvisa e feroce che lo avvolge in quella estate del 1994. Anche il marito di Teresa prova a fare del suo meglio per svolgere a puntino quel ruolo di genitore unico al quale è stato consegnato suo malgrado. E per qualche tempo il figlio minore, colto dalla necessità di quanto gli sta accadendo dopo la partenza di sua madre, cerca di avvicinarsi a quell’unico genitore che gli è rimasto, dato che sua sorella maggiore ignora ambedue con noncuranza. Ma il piccolo di casa scopre subito e con infinita tristezza che tra lui e suo padre non potrà mai esserci nessuna affinità. Non si odiano e non si fanno la guerra: sono solo di due specie diverse. Le elette di quella famiglia, infatti, sono sempre state le donne. Teresa e Mariana. Sua madre e sua sorella. Ma ora sua madre non c’è più e il bambino deve recitare la parte del figlio che asseconda suo padre pur di avere un minimo di normalità nella sua infanzia. Ben presto, però, inizia ad avere uno scopo preciso: recuperare la lettera di addio che Teresa ha lasciato a suo padre. Pensa, infatti, che solo così riuscirà a capire perché sua madre li ha abbandonati. Ma la lettera sembra essere sparita o forse suo padre l’ha nascosta molto bene. Cosa ha scritto Teresa in quella lettera e perché se ne è andata?
Scritto in prima persona attraverso una serie di flashback che partono dal giorno della partenza della madre fino a decenni dopo, quando il protagonista è costretto in un letto a ricordare i passaggi salienti della sua vita, La linea madre è uno di quei romanzi che ti entrano nelle ossa fin dalle primissime pagine. L’accuratezza con cui l’autore descrive scene di vita familiare fa pensare ai grandi classici di fine Ottocento e alla successiva letteratura sudamericana dei primi del Novecento, descrivendo mirabilmente uno stralcio di storia e società messicana divisa ancora tra il desiderio di farsi trovare pronta per accogliere il nuovo Millennio e quello di portare avanti la rivoluzione zapatista nel sud del Paese. Saldaña Paris scrive in maniera sublime, senza fronzoli, senza manierismi stilistici, ma dando vita a una narrazione evocativa che si basa su piccoli e fondamentali elementi, come le istruzioni per fare gli origami, i paesaggi visti attraverso i vetri del pullman, le camminate fatte senza nessuna meta, le suppellettili della casa di famiglia, i brani contenuti nella musicassetta ascoltata a tutto volume da una delle protagoniste. È tutto ovattato e allo stesso tempo domestico e naturale. Un moto rettilineo uniforme che incanta proprio per la sua omogeneità sia quando il racconto si snoda tra semplice ricerca, sia quando c’è l’avventura vera e propria. Una bella prova di stile per uno romanzo intimista nel senso più nobile del termine. Un libro in cui ogni lettore riesce a identificarsi con qualcosa e in qualcosa. Una grande bellezza che arriva da uno degli autori contemporanei più prestigiosi del Sudamerica.