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La locanda del Gatto nero

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Apro la busta che mi è stata consegnata: è una lettera con la quale il brillante e un po’ eccentrico investigatore privato Kindaichi Kōsuke mi informa di un caso che ha seguito e che potrebbe diventare un ottimo spunto per un mio romanzo da annoverare nel genere dei “delitti senza volto”. Comincio subito a scartabellare fra tutti i documenti correlati al caso meticolosamente raccolti dall’investigatore: una notte, un poliziotto di quartiere si imbatte in un monaco che, scavando nel giardino della locanda del Gatto nero, un locale incastrato nell’intrico di viuzze di un distretto malfamato di Tokyo, trova il cadavere di una donna, purtroppo in condizioni tali da non permetterne il riconoscimento. Ma chi sono le donne che ruotano attorno alla locanda? La signora Oshige, moglie del proprietario, e poi Okimi, Kayoko e Tamae, inservienti del locale. Mentre queste ultime vengono raggiunte e interrogate dagli investigatori, non si riesce a rintracciare la signora Oshige la quale, così trapela dai racconti delle tre ragazze, sembra essere in pessimi rapporti con il marito. L’intenzione è di raccogliere anche la versione di quest’ultimo, che però risulta introvabile, e nel corso delle ricerche emerge che entrambi i coniugi avevano un amante, quindi la cerchia di persone legate in un qualche modo alla locanda si allarga. Ma c’è forse qualche altro elemento che li lega? È a questo punto che le intuizioni geniali dell’investigatore Kindaichi permettono di allineare tutte le tessere e costruire il quadro della realtà…

La locanda del Gatto nero può essere considerata la seconda indagine dell’investigatore privato Kindaichi Kōsuke, personaggio che ha dato fama all’autore e che, con la sua eccentricità e la capacità di risolvere anche i casi irrisolvibili, è entrato a far parte della cultura popolare giapponese (le sue gesta sono state trasposte anche in diversi telefilm). Ma proprio perché Kindaichi riesce dove altri falliscono, nel caso presentato tutto non può essere come sembra: con uno stile asciutto, come se il lettore avesse tra le mani gli appunti dell’indagine, vengono presentati i personaggi e le situazioni, senza però avere mai una conferma delle speculazioni che su questi si basano. Forse proprio perché descritti nella loro semplicità, senza commenti o giudizi, gli indizi sembrano portare a realtà diverse ma ugualmente plausibili: è come se più specchi riflettessero il medesimo elemento – l’oggetto materiale è solo uno, ma le sfaccettature sotto le quali appare sono molte. È in questa confusione ben ordinata che fa breccia la capacità di un investigatore “disordinato”, in grado di capire non solo come sia avvenuto l’omicidio, ma soprattutto perché, ovvero come una mente umana possa essere portata a ordire un piano preciso per giungere a un atto di efferata violenza. Per diritto di cronaca va aggiunto che il racconto è costellato di indizi con i quali il lettore può cimentarsi nella risoluzione del caso, ma l’autore nasconde quelli decisivi sino alla fine, lasciando quindi tutti gli onori all’ispettore Kindaichi.