
È nella cameretta del suo bambino, intenta a rifargli il letto, quando lo sguardo le cade sulla vecchia trapunta, acquistata a soli cinque euro durante il mercatino delle pulci, il giorno in cui la Casa ha chiuso e la proprietaria ha svenduto ogni cosa. I ricordi la travolgono. Un’altra stanza e un altro letto, massiccio e immenso, da rifare nella camera Rossa, su cui stendere quella trapunta tre metri per tre, con l’aiuto di Inge. Non ha avuto il coraggio di lavarla ora che è sua, non vuole che perda l’odore a cui è affezionata, “quella nota acida degli uomini che traspirano e delle donne che si dimenano gemendo […]”, ma quello è solo uno dei cimeli che ha comprato dopo la chiusura del bordello, ha portato con sé anche l’enorme letto della camera Bianca, con lo specchio incastonato nella testata. Smontarlo e farlo collocare in quella casa è stato impegnativo, lo è anche mentire in famiglia, soprattutto alla nonna, riguardo alla sua provenienza. E l’idea di scrivere un romanzo sulla Casa con la porta aperta tra due vasi di bosso, quando è nata? Se lo chiede e torna col pensiero a Joseph, a quando ha deciso di fuggire a Berlino e cambiare vita, spinta dalla vigliaccheria, ma anche dalla speranza di incontrare persone più simili a lei. Ora c’è Stéphane che russa nel suo letto, un uomo di 55 anni, serio e pensoso (più vecchio persino di suo padre), un “orso rugoso che riempie la stanza di mugugni”, la sua presenza le toglie l’aria e alimenta il suo desiderio di fuga. Non la ama, è solo una delle tante amanti e lei non ama lui. La sensazione di essere “intrappolata tra l’uomo e la donna” che risiedono dentro di lei la tormenta. A Berlino, durante le sue passeggiate notturne, vedeva le puttane animare le strade, lei le ha sempre considerate “donne vere”, ammirando la loro sicurezza e consapevolezza, persino il modo in cui stanno sui tacchi. Il desiderio, le sue pulsioni, le sue meccaniche, ciò che fa scattare il piacere maschile l’ha sempre affascinata. Quando ha pagato Larissa, una giunonica prostituta russa, per il ventunesimo compleanno del suo amato Joseph e provare l’esperienza del sesso a tre, ha commesso un errore di valutazione enorme, dovuto all’inesperienza. Settecento euro buttati, eppure quella notte ha fatto scattare qualcosa in lei…
“Ho la sensazione che se non parlo di queste donne nessun altro lo farà. Nessuno cercherà di capire che tipo di donna si nasconde sotto le vesti di una puttana. E bisogna ascoltarle. […] scrivere sulle puttane non è né un capriccio né una fantasia, è un bisogno. È l’origine di tutto. Bisognerebbe scrivere sulle puttane ancora prima di parlare di donne o di amore, di vita o di sopravvivenza”. C’è poco di fraintendibile nelle parole di Emma Becker (pseudonimo di Emma Durand, nata in Francia nel 1988) quando spiega la ragione che l’ha spinta a intraprendere questo progetto letterario, che del romanzo erotico ha ben poco (saranno una decina, a essere generosi, le pagine in cui vengono descritte situazioni piccanti), perché l’intento del libro è raccontare in modo pragmatico la vita e le dinamiche relazionali in un bordello. Emma, che nel ruolo di prostituta (perché le prostitute sono “potenzialmente le più grandi attrici”) si fa chiamare Justine, ispirandosi a De Sade, desidera raccogliere esperienze dirette e materiale per portare avanti il lavoro di scrittrice (dopo gli studi letterari alla Sorbona ha pubblicato Mr e Alice). Desidera capire, interagire con le donne che praticano questa professione, essere come loro. Sono due le case in cui lavora, nella prima si trova malissimo: La Giostra, un ambiente squallido e asfissiante, con pochi clienti e ragazze dallo sguardo triste. Abbandona dopo un paio di settimane. La seconda, La Maison, è quella che le mostra il lato più umano del mestiere. Si affeziona alle ragazze, ai loro capricci e alla loro bellezza, ammira la disincantata professionalità delle veterane, la civetteria delle più giovani. Descrive con un linguaggio crudo la loro routine, gli odori, le caratteristiche delle stanze a tema, i clienti, che possono essere anche otto o dieci al giorno per ogni ragazza (giovani o vecchi, brutti o belli, gentili o maneschi con tutti occorre saper gestire la situazione). È l’anima della Casa che vuole raccontare ai lettori, la tenerezza che vi albergava e lo fa persino quando descrive le donne correre ad accucciarsi sul bidet terminata l’ora con un cliente o ridacchiare mentre fanno i gargarismi col collutorio pronte per il successivo. La narrazione diventa malinconica quando subentra la nostalgia per i due anni trascorsi al bordello e prende il via un languido flusso di pensieri, per passare poi a un approccio più freddo, quasi cerebrale quando parla di sesso. Nel testo cita gli autori che ammira e che hanno a loro modo ispirato le sue scelte letterarie: Louis Calaferte, Henry Miller, Romain Gary. Molti capitoli hanno come titolo un brano musicale, ad esempio Monolith dei T. Rex o Love me or Leave me di Nina Simone, una sorta di colonna sonora potenziale per capirne lo spirito o semplicemente il desiderio di dare un tocco raffinato al tutto. Il romanzo, nel trattare il tema della prostituzione, lascia l’impressione di essere allo stesso tempo sincero e artificioso.