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La mala erba

La mala erba

Un diario che dice una verità inesorabile sfogliato per l’ennesima volta sulla corriera che la porta a scuola in un sabato mattina che sa di primavera. Samantha non se la sente neanche di pensarci a quella verità troppo grande per i suoi diciassette anni, troppo difficile da dire a un padre adorato ma disoccupato e tantomeno a una madre distratta che si preoccupa di tutto tranne che della figlia. Fosse almeno frutto dell’amore quel ritardo, invece no, tre volte ha fatto sesso - perché l’amore lo sa benissimo che è altro - con uno che, lasciamo stare. Intanto la corriera è arrivata al bivio dove la aspetta col motorino la sua amica del cuore Nadia. Quelle amicizie totali che si hanno solo durante l’adolescenza, lei è l’unica che sa tutto. Enzo, Marinella, Primo e Ida, Fulvio, tutti sotto lo stesso cielo a tenere la vita coi denti. Poi c’è Ljuba, una russa a cui Fulvio Ceracchi ha affittato la casa di proprietà restando in affitto da Cicci Bellè, solo che quella paga una volta sì e tre no, e lui ha un debito. Nonostante sia padrone di quasi tutto in paese il Bellè è uno che non aspetta. Proprietario di case e i pochi negozi, che formano Colle San Martino, trecento anime. Tutti o quasi con un debito nei confronti di quell’uomo che domina il paese anche fisicamente dal suo palazzotto che affaccia in piazza. Quell’uomo che ama una sola persona, Mariuccio Bellè, il figlio che ha trentadue anni ma ne avrà per sempre cinque a causa del suo ritardo mentale. Se la giornata di Samantha è cominciata male, non è certo migliore per gli altri. Suo padre è andato a caccia cercando di prendere un cinghiale da vendere, ma il bastardo gli è sfuggito, Fulvio va dalla russa sperando di recuperare i soldi dell’affitto, perché le minacce di Bellè non sono mai da prendere sottogamba. Lo stesso Cicci è stato svegliato dalle campane che quello sfrontato di padre Graziano si ostina a suonare in sfregio agli “ordini” del Bellè, a cui la moglie, trattata peggio di una serva, non ha preparato il caffè in tempo...

Un borgo piccolissimo che sembra essere sotto l’incantesimo di una strega malvagia, dove il sole non riesce a illuminare i giorni, la gente che ci vive è oppressa da una vita che manca di una cosa fondamentale, ovvero la speranza di un riscatto, la speranza che qualcosa possa cambiare quella vita che manca di tutto. Il potere di Cicci Bellè schiaccia tutto e tutti come farebbero i piedi di un gigante che non prova nessuna pietà nel calpestare quello che ritiene suo. In qualche modo gli abitanti di Colle San Martino sono rassegnati a questa maledizione, non vedono la possibilità di affrancarsi da questo crudele padrone che fa e disfa le loro vite. Samantha ha diciassette anni, l’unica persona con cui parla è la sua amica Nadia con cui divide il sogno di finire il liceo e andarsene finalmente a Roma, lontana da quelle quattro case, da sua madre che in realtà non c’è, dal padre di quel bambino che non ha il coraggio di dichiarare, uno stupido ragazzetto che mette in dubbio di essere il “responsabile”. Suo padre Enzo forse capirebbe, ma la mancanza di lavoro è un peso talmente opprimente che lei non se la sente proprio di dirglielo. Nelle fiabe il lieto fine lo assicura l’arrivo di un principe che scioglie l’incantesimo, ma questa non è una fiaba e Antonio Manzini non ha paura di raccontare le realtà più crude. Non è più il principe senza macchia e senza paura a salvare il regno, ma la rabbia fredda di chi ha subito troppo e non è disposto ad accettare più niente. Come spesso accade nella vita vera, la vittima può diventare più crudele del suo carnefice. Non c’è redenzione nei romanzi “fuori serie” dell’autore romano: come già ne La giostra dei criceti, Orfani bianchi, Sangue marcio e Gli ultimi giorni di quiete non fa sconti, mette da parte l’ironia (che a volte sfiora il sarcasmo) che è la sua cifra, quella con cui mitiga la crudeltà delle sue storie gialle e dipinge il mondo per quella schifezza che è, non in toto grazie a Dio, ma in gran parte sì. E se alla fine un qualche tipo di giustizia sembra arrivare, porta sempre con sé il conto e non c’è scampo, si fa alla romana e pagano tutti.