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La malalegna

La malalegna

Copertino. Anni Quaranta del Novecento. Quando, in inverno, il vento si insinua attraverso gli spifferi e fa vibrare porte e finestre, se ne stanno tutti in cerchio intorno al braciere: nonno Armando e nonna Assunta, suo padre e sua madre, lei, Teresa, e sua sorella Angelina. La casa è costituita da una sola stanza, divisa in due da una tenda che separa la zona notte da quella in cui si trascorre gran parte della giornata. Nella metà più vicina alla porta ci sono un tavolo e quattro sedie, di là sono posati i materassi. Teresa è una bambina magrissima, sembra un uccellino, e la mamma e la nonna le provano tutte per farla riuscire a ingoiare un boccone in più. È silenziosa e buona, Teresa; ama l’ordine e in prima elementare, prima di entrare in classe, stira con le mani il suo grembiule, sistema il fiocco inamidato e liscia i suoi capelli, che la mamma il genere raccoglie in due codini strettissimi. Teresa ama guardare sua madre, una donna bellissima dall’andatura aggraziata e altera capace di catturare, ogni volta che cammina per strada appoggiando la punta delle dita come se fosse una ballerina, gli sguardi degli uomini, che ne ammirano la bellezza, e delle donne, che la guardano con occhi carichi di invidia. La maldicenza insegue sua madre come una serpe e la donna cerca di schivarla ad ogni passo, cercando di levarsi di dosso gli occhi della Cimmiruta – una vecchia gobba e sdentata che non fa altro che guardarla di sbieco – e quelli del barone Personè, il padrone di ogni terra di Copertino, uomo ombroso e collerico che, tuttavia, quando vede la donna sorride e inclina il capo, come fanno i contadini quando incontrano lui. Anche Angelina è bella e ha gli stessi occhi della madre, mentre quelli di suo padre sono verdi come i campi di Copertino in primavera. Nonno Armando, invece, non ha gli occhi verdi ma racconta alle nipoti le storie della guerra che lui ha combattuto, cercando di tralasciarne gli aspetti peggiori. Ora che la guerra, un’altra, la stanno vivendo anche loro, Teresa non è in grado di dire con esattezza cosa rappresenti per lei, anche se ha preso l’abitudine di contare i giorni…

Due sorelle, due destini che si incrociano e si muovono all’interno di un romanzo corale animato da mammane e comari che – in una Puglia aspra e carica di profumi, una terra avida e generosa – trascorrono parte del loro tempo a sputare sentenze, a puntare il dito e a giudicare senza conoscere davvero i fatti, in nome di quella “malalegna” che si manifesta con soffocati bisbigli ma è capace di distruggere con la stessa potenza di un uragano. Teresa, la voce narrante, arricchisce con pennellate forti, cariche di rimpianto e nostalgia, il racconto di un capitolo importante della Storia italiana, quello che si apre con la Seconda guerra mondiale e arriva alle lotte dei contadini salentini, nel 1950, con lo scopo di appropriarsi delle terre dei padroni. Una Teresa adulta e finalmente risolta ripercorre le vicende della sua famiglia, in quella realtà così soffocante, dove sono i ricchi a fare il bello e il cattivo tempo, mentre i contadini non possono far altro che rassegnarsi e accettare. Ma Angelina non accetta. La sorella minore, vitale, impertinente, bella – come o forse più della madre, che già ha dovuto pagare il prezzo della sua dote innata – e indifferente allo “scuorno” si ribella e sceglie d’inseguire, a costo di esserne vittima, l’amore fiabesco e quella bellezza in grado di “farla uscire dal dagherrotipo in bianco e nero che ritraeva la nostra vita, a darle colore”. Rosa Ventrella – una laurea in Storia contemporanea, una cattedra in Lettere e numerose esperienze di laboratori di scrittura creativa per ragazzi e adulti – racconta di donne e della loro forza, di dolore e di tradizione, di sofferenza e di speranza, di sopruso e di riscatto. Attraverso i fili della memoria che si riavvolgono nel racconto della protagonista, la Ventrella riesce a mostrare il vero volto dei personaggi che animano la sua storia e a renderli credibili e reali, un girotondo di figure profondamente legate alla tradizione e alla terra. Sono braccianti, baroni veterani di guerra e masciare; uomini e donne impegnati in una lotta quotidiana per la sopravvivenza e tra i quali, alla fine, non si contano né vincitori né vinti.