
È uno dei pochi argentini a sapere quanto pesa davvero una Coppa del Mondo, sia nel senso di peso in chilogrammi che in senso metaforico. Diego Armando Maradona, tra il 1985 e il 1986 è senza ombra di dubbio un grandissimo giocatore, ma non è ancora quel fenomeno leggendario sportivo e di costume che sarà nel corso del prosieguo della carriera e della vita. Il grande snodo della sua vita è il 1986, che gli varrà l’adorazione incondizionata di Napoli, sua città adottiva, che con lui vivrà un’epopea meravigliosa di successi iniziata proprio con lo scudetto della stagione 1986-87, e la venerazione dalla sua amata Argentina, che riuscirà a portare sul tetto del mondo allo stadio Atzeca di Città del Messico nel 1986, in una tiratissima finale mondiale contro la Germania Ovest, culmine di una kermesse internazionale incredibile fra colpi di scena e azioni memorabili. In particolare però, c’è una partita che rimane nel cuore di ogni appassionato di calcio, quella che si è giocata il 22 giugno 1986. Si tratta del quarto di finale tra Argentina e Inghilterra, una partita che non può essere come le altre. Eh no, la guerra delle Malvine brucia ancora nel cuore e negli occhi degli argentini, e almeno sul campo bisogna reagire. Ci penserà Diego, che non solo segnerà i due goal che decideranno l’incontro qualificando l’Argentina, ma segnerà sia quello che è stato definito “il goal del secolo”, scartando praticamente tutta l’Inghilterra prima di depositare la palla in fondo al sacco, sia il goal passato alla storia come “la mano di Dio”...
Il 25 novembre, già spunto di doverosa riflessione data la ricorrenza della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, viene funestato da un annuncio clamoroso che rimbalza dall’Argentina: Diego Armando Maradona è morto. Giusto il tempo di accertarsi che non è la classica bufala (o fake news, come preferite) e il mondo calcistico si veste a lutto per la dipartita di quello che è considerato il calciatore più grande di tutti i tempi assieme al brasiliano Pelè. Il sottoscritto, nel frattempo, pensava a come omaggiare El Pibe de Oro con la recensione di un libro, ma non con agiografie post-mortem (e ci potete scommettere che usciranno in libreria quanto prima) né con fastidiosi libri scandalistici sulla vita sopra le righe di Maradona: volevo un libro che, per quanto possibile, si limitasse a parlare di calcio, e più precisamente di un episodio, forse il punto più alto toccato da Maradona e dall’Argentina calcistica tutta, la vittoria nel Mondiale messicano del 1986. A raccontarla, con l’ausilio dell’esperto giornalista sportivo Daniel Arcucci (Canal 9, Fox Sports), è proprio lui: Diego Armando Maradona. Ci troviamo di fronte a un racconto particolare, quasi una favola sportiva, che ha visto una nazionale scissa, poco equipaggiata e persino sabotata dall’interno dai propri tifosi, dalla propria federazione e dal governo, vincere una Coppa del Mondo in cui era tutt’altro che favorita. E il protagonista della vicenda, il neocapitano con la maglia numero diez, non attira su di sé tutti i riflettori, ma ci tiene a evidenziare meriti e demeriti dei suoi compagni di squadra, elogiando ad esempio la supercoppia difensiva formata da Oscar Ruggeri e dall’eroe per caso Josè Brown (riserva nel suo club) e la freddezza realizzativa del bomber Valdano, ma senza risparmiare stoccate all’ex capitano Passarella, bollato come traditore della patria, e all’allenatore Bilardo, con il quale Maradona ha dimostrato di avere un conto in sospeso per questioni lontane lustri e lustri da quel Mondiale benedetto. Dico “benedetto” perché Messico ’86 è anche il Mondiale della leggendaria mano di Dio (da cui il libro prende il titolo), vale a dire il goal di mano segnato nei quarti di finale contro l’Inghilterra di Lineker, Hoddle e Shilton. Un tocco di mano spudoratamente volontario, simbolo impareggiabile di scaltrezza o di antisportività (a seconda di come la si voglia vedere) non visto dall’arbitro che ha permesso all’Argentina di superare un avversario che, dati i tragici trascorsi della recente guerra delle Falkland (o Malvine), non era un avversario come gli altri. Quella partita darà il la alla vittoria di un mondiale bello e imprevedibile, in cui Maradona sarà superstar dentro e fuori dal campo, con giocate d’alta classe e interviste al vetriolo. Sono stati gli anni d’oro del campione argentino, quelli in cui il dualismo con Platini (definito da Diego “senza sangue”) faceva discutere i cronisti di tutto il mondo su chi fosse davvero il più grande, e Maradona spazzò via ogni incertezza, sia con le prodezze in maglia albiceleste sia con i successi che hanno reso grande il Napoli, che in quel periodo visse i suoi tempi migliori. Poi, nel libro come nella vita stessa di Maradona, le cose iniziano un po’ a cambiare e l’autore si lascia andare ad alcune considerazioni un po’ tranchant, tipiche del personaggio, che non possono non polarizzare le reazioni. Ma qui, fortunatamente, viene trattata soprattutto la storia di quella magnifica cavalcata verso e ai Mondiali del 1986, che ha permesso al protagonista di poter dire che lui è uno dei pochi argentini a sapere quanto pesa la Coppa del Mondo.