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La meridiana

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“La nonna ha ucciso il mio papà. Lo ha spinto giù dalle scale e lo ha ucciso. È stata la nonna. Non è vero?”. Con queste serafiche parole, la piccola Fancy, nove anni, di ritorno dal funerale di suo padre Lionel nella villa di famiglia, risponde a sua madre Maryjane, che, riferendosi a sua suocera, ha appena detto “Magari schiatta sulla soglia. Fancy, tesoro, ti piacerebbe vedere la nonna schiattare sulla soglia?”. La nonna è Mrs Orianna Halloran, madre dell’appena defunto Lionel, e si è già diretta nell’ala destra della casa per comunicare a suo marito, costretto sulla sedia a rotelle, che al funerale del suo unico figlio “si è svolto tutto magnificamente”. Il vecchio piange, poi, dopo aver ricordato la gioia per la sua nascita, chiede “Ma è Lionel che è morto?”. La tenuta degli Halloran si trova su una collinetta ed è separata dal resto del mondo, ovvero una piccola cittadina, da un muro di pietra che la cinge per intero. La maestosa casa è piena zeppa di quadri, statue, tappeti e broccati, ha pareti dipinte con scene di ninfe e satiri ed è dotata di una biblioteca di diecimila volumi rilegati in pelle e busti marmorei; intorno all’edificio un prato enorme, un roseto, un giardino segreto, un labirinto, un gazebo e un laghetto artificiale dove nuotano i cigni. Appena usciti dalla casa, sul prato, è possibile vedere uno degli elementi di decoro fortemente voluti dal vecchio Frances Halloran, che aveva costruito la tenuta quando si era scoperto ricchissimo e aveva voluto crearsi un mondo tutto suo per poi morire tre mesi dopo, ovvero una meridiana con la scritta “Che cos’è questo mondo?”. Nella villa adesso ci vivono suo figlio Richard con Orianna, il loro figlio Lionel prima che morisse, sua moglie e la piccola Fancy, e poi zia Fanny, sorella nubile di Richard, la governante Miss Ogilvie, il giovane Essex assunto per riordinare la biblioteca e di fatto braccio destro della vecchia Mrs Halloran (e forse anche qualcos’altro). Una mattina presto, quando ancora è buio, zia Fanny esce a fare una passeggiata lungo le siepi del vialetto, attraversa il giardino, perde l’orientamento e si smarrisce nella nebbia spessa che circonda ogni cosa, quindi attraversa il gazebo e si ritrova nei pressi della meridiana, dove sente una voce che la chiama per nome. Zia Fanny riconosce la voce del suo defunto padre, che le dice di tornare a casa e avvisare tutti che lì dentro sono al sicuro ma che incombe un pericolo terribile, “Ci saranno fuoco nero e acqua rossa e la terra si rivolterà urlando. […] Non lasciare che escano di casa; di’ loro: non temete, il padre proteggerà i figli”. Poi la donna sviene. Si risveglia in casa e, mentre racconta a tutti quanto le è stato detto di riferire, vedono un piccolo serpente che striscia dal camino sul tappeto per scomparire dietro una libreria, come un fosco presagio. Nei giorni seguenti arrivano ospiti per trascorrere alcuni giorni nella villa ma Mrs Halloran e gli altri si convincono che zia Fanny non si sia inventata la storia della catastrofe imminente e che si debbano davvero preparare ad affrontare la distruzione del mondo e la rinascita che, da privilegiati, è stata loro promessa. A quanto pare, però, non sono gli unici ad aspettare l’apocalisse, perché un giorno si presenta alla villa la stramba delegazione dei Veri Credenti…

Da qualche tempo, grazie soprattutto alle nuove uscite delle edizioni Adelphi, l’americana Shirley Jackson (1916 – 1965) sta conoscendo una nuova fortuna presso tanti lettori che scoprono per la prima volta quella che è considerata la maestra del gotico, non a caso ritenuta da Stephen King “prima fonte di ispirazione”. A dirla tutta, la definizione di “gotico” per i suoi romanzi appare un po’ impropria, a meno che non si tenti un più opportuno “gotico moderno” che provi a spiegare quel mix formidabile di vita ordinaria e sovrannaturale, sempre senza una precisa cornice storica, capace di creare l’atmosfera angosciante che domina le sue storie. A questa caratteristica fondamentale si aggiungono note di satira sociale, di humor nero, da thriller psicologico e persino da commedia, che ne La meridiana è piuttosto accentuata. Questo romanzo è del 1958, di un anno precedente L’incubo di Hill House, cui segue Abbiamo sempre vissuto nel castello, i due titoli più famosi che completano la cosiddetta trilogia delle case, nella quale protagonista è, appunto, sempre una casa magnetica e oscura, teatro di complesse dinamiche soprattutto psicologiche, staccata da un fuori minaccioso da mantenere lontano, per rivelarsi, tuttavia, il luogo dove invece il male, in qualche modo, alberga. In una conferenza, Shirley Jackson ha raccontato di aver scritto La meridiana dopo aver scoperto, rileggendoli, che tutti i romanzi scritti in precedenza includevano un muro, visto dall’esterno, che non poteva essere superato. Ha deciso, allora, di scrivere al di là di quel muro, dal suo interno. È nata così questa storia inquietante, ambientata quasi completamente all’interno di una villa padronale, monumentale e opulenta, costruita per sfoggiare la ricchezza e le bizze strambe di un eccentrico borghese, deciso a rimarcare la distanza della sua famiglia dai paesani, anche attraverso l’alto muro che circonda la proprietà. I suoi eredi sono snob, aridi, egoisti, paranoici e pieni di manie, e accolgono in casa, tra dipendenti, servitori e amici, un manipolo di parassiti di varia estrazione, non meno meschini, viziati e sgradevoli. Nel loro quotidiano monotono e noioso irrompe una profezia catastrofica, accolta con un certo entusiasmo, soprattutto perché rappresenta un nuovo privilegio di cui compiacersi che permette agli abitanti della casa di salvarsi dall’apocalisse imminente, alla quale sono invece condannati tutti gli altri all’esterno, cui destinano una magnanimità compassionevole ipocrita e falsa. In una trama semplice, raccontata come una piece teatrale in cui i dialoghi salottieri ricordano le commedie di Oscar Wilde, si muovono personaggi bizzarri, protagonisti di battute fulminanti e di battibecchi intrisi di humor inglese, abbondantemente grottesco e nero. Questa ironia tagliente, che si fa spesso persino crudele, connota anche il personaggio più giovane e sorprendente, una bambina che con riflessioni da adulta e disarmante sincerità, esprime, senza l’ipocrisia dei grandi, lo stesso cinismo, l’aridità e la sete di potere dei suoi parenti. Evidente è la satira sociale nei confronti di una società chiusa e arroccata nei propri privilegi, snob e preoccupata soltanto delle apparenze. Ma questo romanzo fa anche ridere, e anzi l’umorismo appare in crescendo in parallelo al precipitare della situazione che si fa sempre più assurda e raccontata con drammatico e feroce sarcasmo dall’autrice che riesce sorprendentemente a tenere insieme due registri narrativi apparentemente in contrasto, la commedia e il racconto di paura. Sempre nella succitata conferenza, Shirley Jackson ebbe a dire di questa storia “Niente di quello che ho scritto mi ha mai dato così tanto piacere”; di certo è il suo romanzo più divertente e contiene tutti i temi che saranno una costante nella sua produzione successiva. Apprezzabile è sempre la narrazione sapiente che mantiene costante la tensione narrativa e mostra tutto il talento di Jackson che è stata capace di trasformare le sue ossessioni in letteratura e renderle protagoniste in maniera sempre diversa. Mirabile il lavoro, certo complesso, della traduttrice Silvia Pareschi, meritorio il progetto editoriale che ci permette di continuare a scoprire nuove storie di questa straordinaria scrittrice.