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La mia anima è ovunque tu sia

La mia anima è ovunque tu sia
Domenica 25 aprile 2011, nel bosco di Costamagna, sulla Langa, viene rinvenuto cadavere Domenico Moresco, facoltoso e noto titolare di una prestigiosa azienda vinicola. L’ispettore di polizia chiamato a indagare sul presunto omicidio, è convinto che il movente vada scovato nel lontano aprile del 1945. Quando il cospicuo bottino della Quarta Armata venne furtivamente introdotto nella città di Alba. Metà delle ricchezze venne trattenuta dalla Curia e affidata ad Antonio Tibaldi, giovane seminarista divenuto in seguito anch’egli un ricco produttore vinicolo; mentre l’altra parte fu requisita proprio dal Moresco, all’epoca comandante dei partigiani, che evitò di dividerla con i propri compagni. Tale comportamento non gli fu mai perdonato da Alberto Rinaldi, così come il comando dell’operazione militare che costò la cattura e la morte di Virginia, giovane bella e valorosa di cui entrambi si contendevano l’amore. Una vicenda contrassegnata da profondi lati oscuri, di cui nel 1963 lo scrittore Amilcare Braida - ex-partigiano dal nome di battaglia Johnny - sentendo approssimarsi il momento della propria morte, aveva tentato di assemblare le tessere sparse accostandosi alla verità…
Prestigiosa firma del Corriere della Sera e già autore di libri di storia e costume sociale, Aldo Cazzullo compie con La mia anima è ovunque tu sia un’incursione nel terreno della narrativa, il cui esito ci pare deludente e sconcertante. L’autore piemontese compone un libro che è un ambiguo miscuglio di rievocazioni pseudo storiche, di tributo alla memoria letteraria di Beppe Fenoglio, di genere noir e di romanzo d’amore. E sono proprio l’ambiguità dell’intento e l’inadeguatezza strutturale a segnare la linea di un racconto troppo breve e approssimativo, tanto nella ricostruzione dei contesti storici e ambientali quanto nella caratterizzazione dei personaggi. Cazzullo opta per una nuova dimensione comunicativa che dovrebbe consentirgli di perlustrare zone d’affetti e punti d’ombra, ma di fatto non abbandona mai il sermo cotidianus del cronista. La storia salta, pertanto, da un’epoca all’altra - in una continua alternanza di capitoli costituiti da poche pagine per di più stampate con caratteri tipografici grandi - con uno stile nudo e crudo, più adatto a documentare eventi storici che non a evocarne la spirale di rivalità più o meno sottili e il groviglio di speculari risentimenti frustrati. E al di là di tutto un romanzo è sempre un romanzo. Forse sarebbe opportuno tenerlo a mente quando se ne scrive uno.