
È il primo giorno di primavera quando gli uomini del commissariato Oreto di Palermo circondano un casale dove sono certi si nasconda l’anziano latitante don Vito Trabìa. Gli appostamenti hanno rilevato che ogni due-tre giorni il lattaro Calogero Lamantia a bordo della sua Panda si fa una quarantina di km per portare in quel posto apparentemente disabitato un anonimo sacchetto che lascia, poi si ferma un’oretta e poi riparte. Dopo giorni di osservazione a distanza è finalmente stato deciso il momento per entrare e catturarlo, ma tutta l’eccitazione pregustata in vista della cattura si trasforma in delusione quando all’interno, dopo che la Panda è ripartita, trovano proprio il lattaro che alla vista delle armi si arrende senza il minimo tentativo di difesa o fuga. Nel suddetto commissariato è di stanza il fresco di nomina ispettore Lena Di Giacomo, che qualche mattina dopo si sveglia malamente: colpa dell’alcool e delle corna che ha scoperto di avere che oltre a farle “perdere” Claudia le hanno fatto prendere anche la decisione di abbandonare il gruppo in cui suona il basso onde evitare di fare del male al batterista che ha consumato con Claudia le corna di cui sopra. Arrivata in ufficio, la accolgono una strana busta indirizzata a lei s.p.m. e un cazziatone del commissario per i ritardi che sono un suo tratto distintivo. Subisce il rimprovero senza protestare e si avvia alla scrivania borbottando fra sé e sé che in fondo lei non è poliziotta per vocazione, è stata una decisione di impulso, rivelatasi giusta ma senza il sacro fuoco...
Esordio mediamente buono questo di Sebastiano Ambra, la trama è interessante e fresca, con dei richiami all’investigazione – leggermente rivisitata – tipica del classico giallo inglese basato sulla deduzione. La busta che Lena riceve è una sfida, rivolta a lei personalmente da qualcuno che dice di avere rapito Don Vito e fornisce una serie di indizi sotto forma di enigmi da risolvere entro un certo tempo, pena la morte del rapito. Le istruzioni sono chiare, deve cercarlo da sola. Nella realtà, il commissario decide che un suo amico psicologo toscano di passaggio a Palermo può essere l’ideale per affiancare Lena senza contravvenire alle direttive del rapitore. L’idea è vincente, sia quella del commissario sia quella dell’autore: come un novello Watson o un capitano Hastings, Leo Colli fa da specchio riflettente alle intuizioni di Lena. La soluzione dell’indagine è buona e decisamente non banale, anzi un bel colpo di scena. Molto belle anche le descrizioni della città e dei luoghi che Ambra ha utilizzato per nascondere gli indizi, raccontandone la storia con un ottimo espediente narrativo. Il terzo panino se lo sarebbe meritato se fosse stato un pochino meno lento nella partenza e avesse approfondito la caratterizzazione dei personaggi senza perdere il focus sulla trama, ma trattandosi di un esordio è assolutamente perdonabile.