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La mobilitazione femminile nella Grande Guerra italiana

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L’inglese Flora Sandes, impegnata nel servizio sanitario durante il Primo conflitto mondiale, riuscì a farsi arruolare dall’esercito serbo, arrivando al grado di capitano. Era reporter di guerra, invece, Dorothy Lawrence: depose la macchina da scrivere per indossare la divisa di soldato semplice. Quello di May Senta von Hauler fu un autentico travestimento: per vendicare il padre, riuscì a camuffarsi da militare austriaco e salì sulle trincee di montagna al confine con l’Italia. La lunga lista di ragazze reclutate non può non citare Marija Bo karëva, russa, fondatrice dei “Battaglioni femminili della morte”, un’armata di sole donne a cui non venne risparmiato nulla, oltre alle vittorie: processi, condanne, esecuzioni. Su un fronte parallelo, si manifestava il fenomeno delle patronesse, animatrici di comitati di propaganda, signore borghesi che si occupavano di raccolta fondi e, in misura minore, anche di intrattenimento. Attrici, ballerine, sciantose: una schiera di vedette, accanto a grandi nomi come Eleonora Duse e Emma Grammatica, allietava gli ufficiali in congedo e le autorità nei momenti di relax. E, all’occorrenza, si travestiva da spia, sfoderando armi che le truppe maschili non avrebbero mai posseduto. Non era una “spia per caso”, invece, Luisa Zeni. Crocerossina trentina, patriota, nel 1915 fu assoldata dal Servizio Informazioni Truppe Operanti (ITO) e concluse diverse operazioni lungo l’Adige e al confine austriaco, fino a raggiungere Fiume travestita da ferroviere per partecipare all’impresa di D’Annunzio. “Nessun uomo - scrissero nelle motivazioni alla sua decorazione al valore - si è sentito di fare quanto la Zeni ha fatto”…

E poi mediche, maestre, crocerossine anglosassoni, operaie, volontarie per tenere la corrispondenza con fanti e caporali senza affetti. E, infine, le “addette al trasporto appiedato”, secondo l’inquadramento del Regio Esercito. Fra il 1915 e il 1918, in Friuli, circa 1500 donne dai 12 ai 60, a fronte di una paga da 1 lira e 50 centesimi, indossavano una gerla in spalla e percorrevano all’infinito le mulattiere fino alla linea più estrema del fronte per portare viveri, acqua, munizioni. Il fenomeno a lungo misconosciuto delle portatrici carniche è stato reso noto soprattutto grazie a un recente romanzo, Fiore di roccia di Ilaria Tuti. E con gli eventi del centenario della Grande Guerra, il sanguinoso conflitto ha lasciato emergere storie e volti che meritavano, oltre alla medaglia, la memoria. La ricerca storica europea, nel frattempo, ha sfatato il mito della donna che, durante battaglia e trattative, si limita a proteggere il focolare domestico, la prole. Del resto, nemmeno Penelope, nei dieci anni di battaglie e vagabondaggi del suo sposo, si occupò soltanto dell’infinita tela. Il volume curato da Paolo Gaspari (editore udinese e storico) è il terzo di una serie sulla “mobilitazione femminile”, storie che completano la narrazione di una guerra totale e totalizzante. L’album di foto è sicuramente uno dei valori aggiunti del libro che, anche agli occhi del lettore meno documentato, sembra esaustivo. Si esaltano le competenze delle donne della società civile e i rischi assunti in un periodo che, ancora oggi tra le righe dei testi scolastici poco attenti e aggiornati, ne ha invece decantato solo la devozione, l’attesa e, talvolta, il sacrificio volontario ma necessario.