
“Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace il suo cadavere”. Vesta sta facendo una delle sue solite passeggiate mattutine con il fido cane Charlie tra i sentieri del bosco di betulle quando trova un biglietto recante il messaggio tanto ambiguo quanto sinistro sul terreno. È stato lasciato appositamente affinché qualcuno potesse trovarlo; a conferma di ciò, i sassolini neri sui quattro angoli del foglietto che lo fissano a terra e impediscono che si libri in volo e si perda. Vesta è scioccata e allibita: ci sono tante cose che non tornano. Prima di tutto, non c’è nessun cadavere nei dintorni e in secondo luogo, se qualcuno è a conoscenza di un delitto o della presenza di un corpo, perché scrivere un foglietto da lasciare in un bosco invece di allertare la polizia? Che senso ha affermare la propria innocenza su un biglietto anonimo e rivelare elementi ambigui e contraddittori? Vesta ha la mente in subbuglio. Probabilmente si tratta di una bravata adolescenziale. Qualche ragazzino annoiato e frustrato dalla monotona vita di Bethsmane, di ritorno da scuola, avrà messo giù questa frase confusa – ma senza dubbio d’effetto – sperando di scandalizzare e creare un qualche allarmismo. Beh, se così fosse, ci è senz’altro riuscito. Vesta non sa come comportarsi: deve dare peso al biglietto e allertare la polizia oppure lasciare perdere e continuare con la sua passeggiata? La sua mente è un limbo. Ha paura. Probabilmente l’autore del messaggio è appartato tra gli alberi e la sta osservando per vedere quale sarà la sua reazione. Per fortuna che c’è Charlie con lei, il suo dolce cagnolone dal bel pelo marrone. Lo ha adottato quando è rimasta vedova di Walter. Magda ... riesce quasi a figurarsela, una ragazza poco più che adolescente, i capelli nero corvino, le labbra una volta rosso intenso e ora pallide, secche e prive di vita, le scarpe da tennis logore ... Vesta afferra il biglietto e richiama Charlie per tornare nella casa a Levant, vicino al lago in cui si è appena trasferita e nella quale conduce una vita solitaria, all’insegna di passeggiate nei boschi, pasti frugali, letture e riflessioni sul suo passato e sulla sua attuale e pacata vita da anziana signora. Ma il ritrovamento del biglietto sembra aver spezzato gli equilibri di vita di Vesta e forse anche quelli del suo “spazio mentale” ...
La morte in mano è l’ultimo e attesissimo romanzo della brillante e giovane scrittrice americana Ottessa Moshfegh. Tutti coloro che l’hanno conosciuta per il caso editoriale de Il mio anno di riposo e oblio (2018) non stavano più nella pelle per l’eccitazione e per la curiosità di scoprire cosa l’autrice avesse in serbo. Così, una volta in pugno la copia dell’ultima fatica di Moshfegh, in molti si sono scontrati con un romanzo dai toni e dalle atmosfere molto diversi dal romanzo precedente. Molto meno sarcastico, molto meno dissacrante. Più pianeggiante, più sommesso. È difficile definire e inquadrare La morte in mano in un genere letterario ben definito. Nel libro infatti, Ottessa Moshfeg gioca con i generi del giallo, del thriller psicologico e del romanzo intimista confondendone i contorni e ibridandone i temi e i topoi con incursioni anche nei territori della metaletteratura: come si scrive un romanzo poliziesco? Come definire i personaggi? Che azioni compie un detective? Come intrecciare i fatti? Tuttavia, non si peccherà di spoiler dichiarando che la scrittrice utilizza il riferimento al misterioso omicidio iniziale come spunto per imbastire una storia assai cerebrale, fortemente – o quasi totalmente – incentrata sulle dinamiche mentali della protagonista Vesta alle prese con i suoi pensieri, i suoi ricordi e la sua fervida immaginazione. I punti in comune con Il mio anno di riposo e oblio non sono però totalmente assenti. Nel romanzo, ritroviamo infatti i temi della solitudine e dell’isolamento, risultato della decisione di condurre una vita quasi eremitica, scandita da rituali ciclici e abitudini alimentari a dir poco inadeguati, nel tentativo di sospendere una realtà emotiva troppo difficile da affrontare. L’inafferrabilità e l’incorporeità delle dinamiche mentali sono tuttavia abilmente contrapposte a minuziose e talvolta disturbanti descrizioni della realtà, con quel soffermarsi su dettagli scatologici che fanno sì che l’autrice venga annoverata tra i rappresentanti del cosiddetto realismo sporco. La morte in mano è un romanzo consigliato a tutti quelli che non temono il sospeso, l’incongruo e la tensione dell’irrisolto.