Salta al contenuto principale

La mossa giusta - Il senso degli scacchi per la vita

lamossagiusta

Il suo primo ricordo legato agli scacchi risale al primo torneo che aveva sostenuto a otto anni, in un paesino vicino alla sua Aberdeen, Scozia: era un bimbetto che da seduto non arrivava nemmeno con i piedi per terra e che di fronte aveva, per il punto decisivo, un ragazzetto di due anni più grande che rappresentava una scuola più ricca e più importante della sua. Quel giorno, con quell’incontro, la sua vita ha una svolta: nonostante la differenza d’età, la sua capacità di concentrarsi su pezzi, tempo e scacchiera, la sua determinazione, la sua “fame” lo portarono ad una vittoria inaspettata da molti. Non è solo per la vittoria, non è solo per l’affermazione e il riconoscimento dei compagni: in quel momento ha capito che può farcela, non solo sulla scacchiera. Per Jonathan gli scacchi sono sempre stati un affare di famiglia: c’era nel suo salotto una scacchiera sulla quale si esercitavano fratello, nonno, parenti. La madre gli aveva insegnato le regole, era stata però la pratica quotidiana ad immergerlo sempre di più in quello strano mondo: quando per una serie di vicissitudini si era ritrovato a vivere da solo col nonno, si era costruito una piccola stanzetta con una scacchiera e libri di studio da cui conoscere e apprendere i segreti e le strategie del gioco, gli stili ed i profili dei grandi campioni, aveva studiato gli scacchi, ma stava imparando la vita, a dominare le paure, le ansie, le sfide, l’ignoto, stava imparando un metodo che gli sarebbe servito per bilanciare gli affanni dell’altra vita, quella di ragazzino diabetico, fratello di Mark, malato mentale, orfano di un padre assente a causa della sua schizofrenia, nipote di un nonno morto di cancro. Gli scacchi rappresentano lo strumento per raggiungere l’equilibrio, ma anche per capire come raggiungere la vera libertà positiva, quella interiore, a dispetto dei vincoli fisici. Qualunque cosa gli succedesse e gli succede ancora oggi gli scacchi sono sempre lì, comunque...

Jonathan Rowson, Grande Maestro e già campione nazionale di scacchi in Inghilterra, filosofo e scrittore, raccoglie in questo libro intenso e riflessivo un canto d’amore per il gioco che ha dato un senso alla sua vita: non a caso il sottotitolo italiano (in inglese The Moves That Matter: A Chess Grandmaster on the Game of Life) pone l’accento sull’apporto degli scacchi, gioco transculturale, dalle origini antichissime e stratificate fra culture e popoli diversissimi e lontanissimi, alla quotidianità della vita. Un gioco apparentemente irrilevante, ma per questo così denso di significati (definizione di George Steiner) perché della vita è davvero una metafora, nel senso di capacità creativa di lettura della vita stessa. Una creatività peraltro condivisa, che rende per questo il gioco intimo, irrinunciabile, sociale. Organizzato come una scacchiera, con 8 capitoli suddivisi in 8 paragrafi, per un totale di 64 paragrafi come le caselle del campo di gioco degli scacchi, il libro esplora in modo discorsivo, ma allo stesso tempo scientifico, il “senso degli scacchi per la vita”, allontanando l’idea che le strategie del gioco possano essere un’ossessione per persone mentalmente disturbate, ma avvicinandolo invece ad un sistema per organizzare ed approcciare la complessità umana. Oggi Rowson ha dismesso i panni del giocatore e si dedica ad un lavoro di ricerca, in qualità di capo dipartimento del Social Brain Centre nella Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures and Commerce (RSA), spaziando dal cambiamento climatico alla spiritualità. Ritiene chiusa la sua esperienza come scacchista professionista, tuttavia non può smettere di amare questo gioco che l’ha reso diverso perché gli ha insegnato a concentrarsi sulla sua creatività, gli ha insegnato a porsi le domande giuste senza avere paura di imparare dai suoi errori, ma con l’obiettivo di riuscire nei suoi sogni.