
Milano, 1959. In lontananza, grattacieli luminiscenti e globi di chiarore di palazzi di vetro, file di luci di una città che non dorme. È lo sfondo di una periferia sgangherata, movimentata dalle notti balorde di una ghenga di giovani muscolosi che tirano mattina al ritmo del boogie-woogie e al rombo di Guzzi e Gilera e di spider rubate. Il Rospo, Gimkana, Teppa, Contessa, Toni, Mosè: questi i protagonisti di notti brave, fra teppismo e aggressioni, al ritmo di sesso alcool e rock’n’roll. Questa è la più brava delle notti, quella di Capodanno. Tutto comincia con un furto d’auto ad un piccolo commerciante, il classico “cumenda”, a cui segue una corsa spericolata e il furto di gioielli della Madonnina nella chiesa di Bollate (gioielli poi usati – perché scoperti falsi – per addobbare sprezzantemente una barbona che dorme in strada). I sei improvvisano poi la visita ad una villa di ricchi borghesi, che dopo una mangiata viene imbrattata e lasciata sottosopra; rapiscono più tardi tre donne impellicciate della “Milano bene”, che, dopo una iniziale ritrosia e la condanna moralistica di quella gioventù traviata di teppisti, si lasciano andare ad un’orgia di sesso ed alcool, per tornare poi alle loro vite patinate. A seguire, l’assalto ad un omosessuale caricato in macchina, poi denudato e abbandonato in un luogo sperduto, i vestiti bruciati; la visita ad un night che si trasforma presto in rissa. E l’epilogo, a sorpresa, in cui, ormai sul far dell’alba, dalla pistola di uno dei sei parte un colpo. Accade d’improvviso quel che in verità era già nell’aria, presagio di una vita in bilico…
La nebbiosa è la sceneggiatura cinematografica di un film mai girato, non almeno come lo avrebbe voluto Pasolini. Perché da queste pagine scritte nel ’59, i registi Gian Rocco e Pietro Serpi quattro anni dopo avrebbero tratto il film Milano nera, in una versione però ritenuta dallo sceneggiatore piuttosto edulcorata e sbiadita, lontana dal soggetto originale. È del ’59 l’incursione di Pasolini nelle notti milanesi, fra la ghenga di teppisti dal ciuffo ribelle, rocker, disperati, ma anche industrialotti, cumenda e segretarie. Da quel mondo, che Pasolini aveva voluto conoscere avvicinando alcuni di quei ventenni dalla vita sopra le righe, nacque La nebbiosa. Ben più che un noir picaresco. Quei ventenni ribelli di un Nord industriale e “sviluppato”, quei teddy boys spacconi e violenti, dietro il loro aspetto “quasi di bravo ragazzo, riservato, educato”, fra sesso estremo alcool furti scassi aggressioni dileggio cinismo sproloqui, erano per lo scrittore il prodotto di un mondo borghese pieno di crepe e di ipocrisie, un mondo di perbenismo e vuoto conformismo, di “superficiale visione di valori”, di “presunzione pedagogica e cecità reazionaria”, contro cui essi si ribellavano, sfogando nella violenza e arroganza le loro frustrazioni. Da quella trasferta Pasolini riportò una sceneggiatura scabra, con scene essenziali, ridotte all’osso; una lingua aderente alla realtà, nella popolare brevità delle battute ma anche nella scelta di slang giovanile, dialetto milanese e un linguaggio da mala. In un estremo realismo, in un nitore essenziale e scarno, emergono a tutto tondo i teddy boys, figure ambigue – una vita sospesa fra distruzione e sopravvivenza, ribelli teppisti e trasgressivi ma mai fino in fondo, del tutto, criminali. Almeno sino alla fine, sino ad un punto in cui, in un continuo crescendo di tensione, si attende e si paventa il male (o un male più grande) che aleggia nell’aria e che da un momento all’altro sembra potersi, doversi compiere. Alla fine qualcuno muore. A terra, riverso. Colpito da un colpo accidentale, di un bambino che fra quegli amici si trovava in modo accidentale. Quella vita senza meta, ondeggiante, di una ribellione senza direzione, si spegne in un colpo di pistola. Sparato anch’esso, sembra, senza un chiaro perché. Pasolini intercettò e traspose in sceneggiatura, fra i primi, il malessere che aleggiava fra le strade di Milano (e di altre città italiane), quel germe ancora indistinto di insofferente aggressiva ribellione che di lì a poco, per molti, si sarebbe trasformato in una spirale di violenza.