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La nobile arte del bluff

La nobile arte del bluff

Colson Whitehead ha appena terminato di scrivere un romanzo che l’ha completamente prosciugato, s’è separato dalla sua compagna e assieme a lei, cercando di incastrare i loro impegni, cresce sua figlia. Non è un buon momento per lui. È alla ricerca di ispirazione. La rivista “Grantland”, che si occupa di giornalismo sportivo, gli commissiona un reportage sulle World Series Of Poker che si tengono annualmente a Las Vegas. Whitehead ama giocare a poker, ma è un dilettante. Il suo viso è quello che sembra essere “tipico” da giocatore di poker perché è privo di qualunque tipo di espressione: come se i suoi tratti – che lui stesso definisce “laschi” – riuscissero a renderlo assolutamente impenetrabile e a non far trasparire mai nessuna delle emozioni che prova. Per scrivere un reportage del genere si iscrive e partecipa ai campionati mondiali di poker. La cosa è molto più seria e impegnativa rispetto a quello che Whitehead ha immaginato: un conto è giocare con gli amici o in tornei più semplici ad Atlantic City, un altro è misurarsi con chi vive di poker. Lo scrittore americano comincia ad allenarsi sempre più seriamente, studia, ha un suo coach. Entra in un mondo che non conosce fatto di studi matematici, di probabilità, di rigore, in cui nulla è lasciato al caso…

La nobile arte del bluff è un’opera interessante per molti motivi: prima di tutto si fa fatica ad inserirlo in uno specifico genere letterario. È un reportage sportivo, è il racconto – a tratti ovviamente romanzato – di alcuni mesi dell’autore passati ad allenarsi e a riflettere sul poker, a tirare le fila della propria vita. Whitehead è il tipico intellettuale newyorkese immerso nel mondo di accaniti giocatori che indossano gli occhiali da sole per non svelare mai le loro emozioni, severi coach che lo incitano allo studio e gli danno consigli sul gioco e sulla vita. L’autore si misura con il mondo di chi passa da una città all’altra, da un tavolo di gioco ad un altro, in una Las Vegas che accoglie tutti nei sui alberghi extralusso dove il tempo sembra essere costantemente sospeso e dove tutto ti invita al consumo, a spendere dollari, dove ogni hotel ha stuoli di prostitute e massaggiatrici per allietare i propri ospiti/giocatori, sontuosi buffet per sfamarli tra una partita e l’altra, listarelle di manzo affumicato (i jerky) che forniscono l’energia per stare al tavolo ore e ore in paziente attesa dell’all in che ti può far avanzare nel torneo o farti uscire definitivamente. Whitehead gioca e riflette sul senso più profondo della vita, sul concetto di destino e di probabilità. La lettura a volte è molto tecnica (l’autore ci lascia anche una bibliografia alla fine dei manuali che ha studiato) e può risultare anche ostica a tratti. Eppure vale la pena non rinunciare: perché la vita e il poker sono strettamente legati e quando pensi di aver raggiunto qualcosa poi, hai buone possibilità, che le tue aspettative vengano completamente deluse.