
Sta arrivando il suo tredicesimo e infame Natale. Li passa dallo zio Gustave, vestito con un ridicolo completino, seduto composto davanti alla tavola riccamente apparecchiata mentre lo zio affetta un’oca farcita. La zia Gertrude già la pregusta, ma per lui, palliduccio e mingherlino, solo un gran piatto di passato di piselli. Quella pietanza sostanziosa potrebbe fargli male, dicono gli zii… Ha sette anni, per lui l’età della ragione. Ormai ha capito che suo padre è morto. Da tempo guida con la croce diversi funerali. Sa cos’è la morte, ma quello che non capisce ancora è cosa significhi quando le persone gli dicono che suo padre è morto. Anche se non lo vedeva da tanto tempo, ricorda bene la mattina in cui è entrato nella sua camera e lo ha trovato disteso su un grande letto bianco. Sembrava una statua tutta nera, piena di barba… Sulla strada che porta a Saint-Claude gli alberi diventano sempre più grandi, più verdi, più scuri. Il paesaggio di rocce rosse e verdi contrasta con il blu atroce del cielo. Il carro si ferma accanto al lago e facciamo uno spuntino. Da un lato c’è un muro grigio e finestre con le grate. Arrivano grida di ragazzine, stanno facendo la ricreazione in quell’orfanatrofio. Ad un tratto la vede tra le sbarre, gli occhi belli, la carnagione lattea e le labbra rosse…
La pagina più bella è una raccolta di dieci prose inedite di Luc Dietrich, curata e tradotta con attenzione da Stefano Serri. Raoul-Jacques Dietrich, (Digione 1913- Parigi 1944) è rimasto orfano di padre all'età di sei anni: abbandonato dalla madre malata e tossicodipendente, trascorre l'infanzia e parte dell'adolescenza in istituti correttivi e psichiatrici. La sua breve vita è da vagabondo, disperato e senza fissa dimora. L’incontro nel 1932 con il più adulto Lanza del Vasto e la grande amicizia nata tra loro lo salverà. Lanza lo incoraggia, lo guida e tenta, senza troppo successo, di strapparlo dagli ambienti equivoci che frequenta. Le sue doti di scrittore derivano dalla sua psicologia complessa, dal suo essere profondamente ferito. Dietrich sceglie di scrivere e mettere a fuoco, da bravo fotografo qual era, l’infanzia e l’adolescenza, arco centrale della sua parabola. Sono questi, infatti, gli anni che caratterizzano e segnano ogni uomo. La sua ricerca strenua di salvezza verrà di volta in volta sconfessata e tradita. La madre, tanto idolatrata, è dunque il punto d’origine di una colpa e di una perdita, di un dolore che si scioglie lungo l’esistenza contagiando ogni ambito e ogni relazione. La sua misura congeniale è quella della prosa breve, del frammento che diventa lirico. Le prose de La pagina più bella pulsano verità, dolore, rabbia e spaesamento. Nel 1935 è stato tra i finalisti del premio Goncourt con il romanzo di formazione La felicità dei tristi. Luc Dietrich con la sua voce innocente mostra le brutture del mondo e non chiede giudizi né pietà, racconta solamente. Egli è un irregolare del Novecento, fa parte di quella generazione perduta che in Ernest Hemingway ha il cantore americano più famoso e che in Arthur Rimbaud ha un riferimento fermo e deciso. Dietrich ha galleggiato, sopravvissuto ai rovesci della vita, superando con la scrittura tutti i suoi eccessi. La sua mistica del sapere, del voler apprendere, lo porta a lavorare per aiutare gli altri, a non interessarsi della sua vita, ad essere forte, a fare qualcosa. Ma tutta la sua forza è persa nella vita ordinaria che lo consuma.