
Sono in automobile e stanno tornando a casa. Teo va a scuola nel paese della mamma, a dieci chilometri da quello del papà, che non vive con loro ma tiene il figlio tre giorni alla settimana. Il piccolo sta finendo la prima elementare e suo padre lo guarda nello specchietto retrovisore. Sono passati in un lampo i giorni in cui loro due, padre e figlio, trascorrevano le loro mattine in bicicletta a inseguire i camion della spazzatura, quelli che il piccolo chiamava toton. Erano poche, in quel periodo, le parole che Teo sapeva pronunciare: mamma - con una sola emme - pappa, nani e babba. Sì, proprio così. La prima volta che ha nominato suo padre, Teo l’ha chiamato in questo modo. L’uomo, che in quell’attimo avrebbe voluto abbracciarlo, non l’ha corretto e, da allora, babba è rimasto il sostantivo giusto con cui essere identificato. Ora, nel sedile posteriore dell’auto, Teo suona una batteria invisibile cercando di tenere il tempo degli AC/DC. Sta attraversando quella fase della vita in cui ciò che davvero importa si riassume in due cose: l’Uomo Ragno e la musica, appunto. Teo indossa occhiali dalle lenti scure e dice qualcosa. Suo padre abbassa il volume della radio, perché non sente. A volte le espressioni che vede disegnarsi sul volto del figlio gli fanno intravedere l’uomo che diventerà e una strana vertigine gli arriva alla pancia, come quando su una scala si cerca un nuovo gradino e non lo si trova, perché non ce ne sono più. Il ragazzino ripete la domanda: vuol sapere da suo babba con chi sia sposata la nonna. È stata una ragazza madre, la nonna. Quindi non è sposata con nessuno, spiega al figlio. Il ragazzino si acciglia, pare cercare le parole per esprimere il suo pensiero e, quando le trova, si esibisce in una rullata fuori tempo su un piatto immaginario e chiede “Ma se nonna non è sposata, chi è tuo babba?”. Bella domanda, pensa lui, davvero una bella domanda…
Da leggere! L’ultimo lavoro di Cristiano Cavina - scrittore romagnolo il cui esordio è datato 2003 - è un romanzo di formazione garbato e tenero, intenso e schietto; è un libro che incanta fin dalla copertina, originale e potente. È il racconto della vita adulta di un uomo cresciuto senza padre che fa lo scrittore, vanta una discreta quantità di casini accumulati nel corso di una vita in cui si è arrabattato per colmare con la fantasia i silenzi degli adulti che hanno incrociato il suo percorso e, divenuto a sua volta padre di tre figli, riflette sul fatto che ciascuno di noi altro non è che il sunto di chi ci ha preceduto. Dopo aver trascorso l’infanzia sognando un mondo visto dall’altezza spalle di una figura paterna mai esistita e quindi immaginata e forse idealizzata, si scontra con una realtà in cui il nome con cui i figli lo definiscono ha un finale da mamme, una realtà di cui non esiste sceneggiatura né copione, ma che va recitata a soggetto, improvvisando. Una vicenda tanto tragica quanto comica dalla quale traspaiono elementi autobiografici. D’altra parte, come lo stesso autore ha dichiarato, “… le storie, gira e rigira, sono sempre quelle. Quello che conta è come si raccontano, e poi si può sempre inventare…”. Vivendo il presente, in cui non fa che ricostruire un passato fatto di vuoti, cresce prepotente nel protagonista - complice la presentazione di un suo libro in un carcere e l’indignazione dei carcerati, che gli contestano il fatto che la letteratura non può essere utilizzata come scorciatoia per la vita, quella vera - il desiderio di muoversi in un tempo non lineare, un percorso ondulato che gli consenta di trovare il coraggio per riappropriarsi della parola papà e per assumersi la responsabilità di abitarla fino in fondo. Con un linguaggio che richiama l’Ulisse di Joyce e procede per frammenti - mostrando attraverso battute troncate, suoni onomatopeici e pensieri non esplicitati quanto il presente influisca sul passato e lo aggiusti riscrivendo in continuazione la storia personale di ciascuno - Cavina scardina le fondamenta del romanzo familiare, mostra un’odissea sentimentale che si fa specchio dell’incertezza, si interroga sul potere della letteratura e sulla verità della scrittura e offre al lettore una storia che arriva al cuore potente come un tuono e lo inonda della tenerezza che è figlia di una nuova e più matura consapevolezza, quella per cui “lavoriamo su quello che distruggiamo, finiamo con il raccontare le ferite”.